Psicofarmaci
Schizofrenia o Depressione?
/4 Commenti/in In Evidenza, Psicofarmaci, Tutti gli art.Cari lettori,
capita talvolta che lo psichiatra in caso di depressione prescriv a un antipsicotico di seconda generazione (Olanzapina, Quetiapina, Aripiprazolo, Risperidone) a basso dosaggio accanto alla consueta terapia antidepressiva e questo comprensibilmente provoca un certo allarme nel paziente: “Perché mi ha prescritto un antipsicotico? Forse ha ravvisato in me le caratteristiche dello psicotico; allora sono molto più grave di quanto pensassi”! Oppure: “Ma se l’antipsicotico abbassa il livello di dopamina come può essere utile come antidepressivo; si è forse sbagliato il medico”? Il foglietto illustrativo degli antipsicotici è poi infarcito di effetti collaterali gravissimi che terrorizzano il paziente.
Vorrei con questo breve articolo rassicurarvi sul fatto che non dovete allarmarvi o temere un errore medico perché talvolta, associare un antipsicotico all’antidepressivo risulta clinicamente molto utile nelle depressioni resistenti in quanto l’antipsicotico di seconda generazione (ASG) a basso dosaggio, in sinergia con l’antidepressivo (ma talvolta anche da solo):
- incrementa in modo più o meno diretto la trasmissione dopaminergica in regioni strategiche per l’umore come la corteccia prefrontale, il nucleus accumbens e la corteccia limbica
- migliora il sonno del paziente depresso, spesso insufficiente e disturbato.
- quieta la possibile agitazione ansiosa di certi depressi, talvolta aggravata dal trattamento antidepressivo nei primi 7-15 giorni di trattamento.
- calma l’eventuale nausea e diarrea dovute a iperattività gastrointestinale da eccesso di serotonina, soprattutto nelle prime due settimane di trattamento.
- funziona come stabilizzatore dell’umore nel corso della terapia con antidepressivi, per evitare pericolosi viraggi in mania nelle persone che tendono alla bipolarità.
Certamente, bisogna prima provare a risolvere la depressione col solo uso di antidepressivi ma se non si raggiunge il risultato desiderato, si può associare qualche altro psicofarmaco come potenziamento e gli antipsicotici a basso dosaggio sono una delle prime opzioni. A seconda del tipo di depressione, si può optare per Aripiprazolo se c’è bisogno di una maggiore attivazione adrenergica mentre Olanzapina, Quetiapina o Risperidone, danno un effetto antidepressivo con maggiore componente sedativa.
Per quanto riguarda gli effetti collaterali degli antipsicotici bisogna sempre tenere presente che le case farmaceutiche prudenzialmente scrivono sui bugiardini tutti gli effetti possibili, anche i più rari verificatisi durante prolungati trattamenti a dosaggi massimi; ai bassi dosaggi delle terapie adiuvanti per la depressione invece, la maggior parte degli effetti riferiti sui bugiardini sono da trascurare.
Approfondimento.
Gli antipsicotici di seconda generazione a basso dosaggio danno un effetto antidepressivo, perchè:
- Stimolano il recettore 5HT1A postsinaptico della serotonina che a livello di corteccia prefrontale e limbica consente la liberazione di dopamina dai terminali assonici dei lunghi neuroni meso-limbici e meso-corticali. L’attivazione dopaminergica della corteccia pre-frontale e limbica ha un noto effetto antidepressivo oltre che di miglioramento cognitivo.
- Inibiscono il recettore della serotonina 5HT2A con effetto analogo alla stimolazione del 5HT1A
- Inibiscono (come fa la mirtazapina), il recettore presinaptico adrenergico Alfa 2 con l’effetto di favorire la trasmissione noradrenergica e dopaminergica in diverse regioni cerebrali tra cui corteccia prefrontale e limbica
- Bloccano il recettore 5HT7, un recettore ancora poco conosciuto il cui blocco ha un effetto antidepressivo, migliorativo su sonno, apprendimento, memoria e regolazione dei ritmi circadiani. E’ localizzato a livello di corteccia cerebrale, ippocampo, ipotalamo, talamo, nuclei serotoninergici del rafe nel tronco encefalico. Si pensa che il potente blocco del recettore 5HT7 da parte di Amisulpride nelle suddette zone cerebrali sia responsabile della potente e rapida azione antidepressiva di tale psicofarmaco antipsicotico atipico.
- Provocano un calo della trasmissione glutammatergica (liberazione di glutammato) che ha una pronta azione antidepressiva. L’esketamina ad esempio, ha una potente azione inibitoria sul rilascio di glutammato e ha un’azione rapidissima in certi casi salvavita nelle gravissime crisi depressive.
- Inibiscono il rilascio di cortisolo dalla corteccia surrenalica favorendo l’azione rigenerativa sui neuroni operata dal BDNF cerebrale (brain-derived neurotrophic factor) che ha azione trofica e rigenerativa sui neuroni di alcune aree del cervello.
- Antagonizzano il recettore 5HT2C facilitando la trasmissione dopaminergica e noradrenergica nel la corteccia prefrontale e nel centro del piacere, il Nucleus Accumbens
- A basso dosaggio, bloccano gli autorecettori dopaminergici inibitori D2 e D3 favorendo la liberazione di dopamina nella corteccia prefrontale.
Un caro saluto,
A. Mercuri
Antidepressivi: reali benefici ed effetti collaterali
/7 Commenti/in In Evidenza, Psicofarmaci, Tutti gli art.Vorrei soffermarmi ancora una volta sugli effetti collaterali comuni a tutti gli antidepressivi serotoninergici per esortare le persone a cominciare una terapia con essi solo quando tutte le altre strade sono state tentate o quando non c’è più la forza di reagire.
Innanzitutto, è da valutare la presenza o meno di problemi risolvibili che abbiano portato allo stato depressivo; da ricordare infatti che la depressione non è sempre una malattia di sradicare ma è il più delle volte un antico e utile automatismo biologico che, almeno nelle sue fasi iniziali, spinge l’individuo a risolvere i propri problemi ripiegandosi su se stesso in una assidua autoriflessione. Non dimenticate poi che molti studi dimostrano in modo evidente l’utilità degli antidepressivi solo nelle gravi depressioni e non in quelle leggere o medie mentre è da evitarne l’utilizzo in caso di semplice ansia, ossessioni, fobie, panico, insonnia: potreste anche avere un sollievo momentaneo a tali sintomi ma il sollievo dura qualche mese o anno, poi tutto torna solitamente come prima pur prendendo il farmaco; oppure, potrebbero sopraggiungere col tempo sintomi prima non presenti: è frequente infatti che una persona abbia cominciato a curarsi con antidepressivi per ansia cronica e si ritrovi dopo qualche anno ugualmente ansioso ma ora anche depresso, stranamente ossessivo o gravemente insonne. Ancora, come ho già ampiamente spiegato, gli antidepressivi tendono a far peggiorare la depressione sebbene l’effetto del farmaco riesca a coprire per qualche tempo l’aggravarsi della sintomatologia che poi si riaffaccia quando il farmaco non funziona più; in due parole, gli antidepressivi attualmente in uso fanno peggiorare il substrato organico (cioè cerebrale) della depressione perché il cervello depresso in qualche modo vuole la propria depressione e se la riprenderà con gli interessi: se voi gli aumentate la serotonina, lui diminuirà il numero di recettori per essa o la loro sensibilità oppure ne diminuirà la produzione: quando il muro contro muro tra farmaco e cervello sarà completo, la depressione ricomparirà nonostante il farmaco; a quel punto lo psichiatra potrebbe proporvi di aumentare la dose di antidepressivo oppure di cambiare molecola ma il cervello ormai ha imparato a contrastare l’effetto dell’antidepressivo talmente bene e velocemente che anche un raddoppio di dose darà un effimero beneficio mentre il cambio di molecola si rivelerà forse efficace ma solo per un breve periodo perché tutte le molecole attualmente disponibili condividono il medesimo meccanismo d’azione. I disturbi sessuali sono poi un tipico effetto collaterale degli antidepressivi, quello più noto al grande pubblico e forse il più temuto soprattutto dagli uomini. Sembra infatti che l’eccesso di serotonina vada a compromettere i delicati equilibri della sessualità sovvertendoli nelle dimensioni del desiderio, dell’eccitamento genitale e dell’orgasmo. Più in dettaglio:
- Desiderio: per il desiderio sessuale molto importante è la corteccia cerebrale limbica, tenuta accesa dai lunghi prolungamenti assonici dei neuroni meso-limbici dopaminergici (lunghi neuroni che hanno il corpo cellulare nel tronco encefalico e allungano i loro prolungamenti dendritici fino alla corteccia limbica). La dopamina dunque accende e mantiene la libido mentre la serotonina, attivando i propri recettori 5HT-R2, abbassa il tono dopaminergico della corteccia limbica spegnendo la libido.
- Eccitamento: il tono della corteccia limbica è importante sia per il desiderio che per l’eccitamento sessuale (erezione nel maschio, inturgidimento del clitoride e lubrificazione vaginale nella donna) quindi l’azione inibitoria della serotonina su tale regione cerebrale comprometterà anche l’eccitamento; la serotonina inoltre esercita un’azione inibitoria sui rilessi sensitivo-motorii viscerali spinali preposti alla vasodilatazione nel pene e nel clitoride. L’eccesso di serotonina poi, a livello d’organo, rallenta il rilascio del vasodilatatore ossido nitrico, fondamentale per l’inturgidimento dei tessuti erettili (azione esattamente opposta a quella di Viagra e simili)
- Orgasmo ed eiaculazione: la serotonina in eccesso può provocare anorgasmia in entrambe i sessi attraverso: 1) Iper-stimolazione dei propri recettori 5HT-2 e conseguente inibizione a vari livelli del sistema nervoso della trasmissione dopaminergica e noradrenergica; 2) Alterazione dei riflessi spinali autonomici simpatici e parasimpatici fondamentali per regolare finemente orgasmo ed eiaculazione.
Sempre più persone si lamentano del permanere di disturbi sessuali vari anche dopo la sospensione degli antidepressivi, e tale condizione ha ricevuto il none di PSSD. Non si trova nulla per ora con gli esami a disposizione ma è possibile che le alterazioni sessuali avute durante l’uso degli antidepressivi, si scrivono in modo più duraturo, sebbene reversibile, nel DNA sotto forma di modificazioni epigenetiche.
Non tutti sanno poi che la medesima pompa di ricaptazione della serotonina del neurone è presente anche nelle piastrine e nelle cellule dell’apparato digerente. Nelle piastrine essa recupera la serotonina dal sangue e la riporta dentro la cellula ove una corretta concentrazione è necessaria al processo della coagulazione; Continua a leggere
Benzodiazepine & Decadimento cognitivo
/4 Commenti/in In Evidenza, Psicofarmaci, Tutti gli art.La maggior parte delle persone che assume benzodiazepine non è consapevole dei problemi cognitivi che esse provocano e collega solo debolmente i propri vuoti di memoria, la depressione e il rallentamento psicomotorio all’utilizzo di tali farmaci. In realtà, le benzodiazepine sono insidiose perché non sono molto tossiche per l’organismo e apparentemente non fanno danni nemmeno se utilizzate a lungo e a dosaggi alti: il fegato e i reni le smaltiscono senza problemi, non irritano lo stomaco, non aumentano colesterolo, trigliceridi o glicemia, non fanno ingrassare e, soprattutto in chi è abituato ad assumerle, non danno nemmeno sonnolenza o stordimento. Ancora, se il dosaggio è quello comune, non danno grossi problemi sessuali né immediati né futuri (cosa che fanno invece gli antidepressivi), non interagiscono con altri farmaci e possono essere assunte, a dosaggio adeguato, anche da persone gravemente malate. Anche per il sistema nervoso non sembrano particolarmente tossiche (come lo sono invece i neurolettici antipsicotici) cioè non provocano tremori, akatisia, rigidità nemmeno se usate a lungo. Per tutti questi motivi, le benzodiazepine, fin dalla loro prima comparsa sul mercato 60 anni fa circa, sono state prescritte e assunte con grande facilità.
Diciamo che il loro effetto piacevole unito alla mancanza di effetti collaterali eclatanti è il motivo per cui moltissime persone al mondo non rinunciano alle goccine serali anche perché la tensione nervosa e lo stress oltre che l’insonnia, sono compagni di viaggio abituali in questo nostro mondo artificiale e agitato e se c’è una sostanza non tossica che fa rientrare in sé alla fine di una pesante giornata lavorativa, questa è assai gradita e ben accolta.
Ma ci sono ugualmente alcuni motivi più che sufficienti per dire no all’uso quotidiano di questo rimedio facile e apparentemente atossico:
- Le benzodiazepine usate in modo quotidiano, non danno problemi neurologici evidenti di tipo motorio o sensitivo ma danno un clamoroso deficit delle prestazioni cognitive, in particolare della memoria, il che può rendere difficile l’apprendimento di nuove nozioni o anche il corretto svolgimento del proprio abituale lavoro.
- Alla lunga abbassano il tono dell’umore, aumentano l’ansia, peggiorano l’insonnia, l’agorafobia, la fobia sociale e le ossessioni. Se il dosaggio è alto, provocano anche disinteresse per il sesso.
- Se usate a lungo, danno irritabilità, rabbia e maggiore propensione a perdere la ragione e il controllo per motivi banali.
- Ipotalamo e ipofisi che sono le centrali di controllo del sistema ormonale, sono pieni di recettori per le benzodiazepine quindi una certa inibizione globale della secrezione ormonale, dagli ormoni sessuali a quelli tiroidei è senz’altro possibile soprattutto per alti dosaggi (anche i testicoli hanno recettori per le benzodiazepine)
- Sono responsabili di gravi incidenti stradali perché, oltre a rallentare i riflessi e diminuire la coordinazione motoria, danno grave distraibilità: se una persona normale, ad esempio, distoglie momentaneamente lo sguardo dalla strada, incuriosito da qualcosa, lo fa solo per una frazione di secondo perché ricorda molto bene che sta guidando mentre se tale persona ha assunto benzodiazepine, rischia di “dimenticarsi” per troppi istanti che sta guidando….e prima di riportare gli occhi sulla strada forse si è già infilato sotto un camion.
Le benzodiazepine, come molte volte ho scritto, andrebbero prese solo saltuariamente oppure, se in modo continuativo, al massimo per 1 mese (stando molto attenti se si guida un’auto); poi andrebbero scalate e tolte perché più lungo è il tempo di assunzione e più è facile diventarne dipendenti e incorrere in disturbi cognitivi che peggiorano col tempo. Inoltre, mentre una assunzione breve o sporadica è assai efficace su sonno, ansia, tensione nervosa, sintomi psicosomatici, l’uso prolungato comporta un graduale peggioramento delle condizioni psicofisiche e del funzionamento sociale.
Purtroppo, sembra che l’effetto deleterio sulla memoria delle benzodiazepine, sia responsabile anche del loro effetto ansiolitico. Esse sarebbero rasserenanti proprio perché compromettendo la memoria fanno vivere su una nuvoletta di obliosa serenità. Mentre infatti esistono aree cerebrali (sulle quali le benzodiazepine agiscono molto bene all’inizio del trattamento, poi sempre meno) responsabili dell’ansia fisica (tachicardia, iperventilazione, vertigini, acufeni, tremori), sembra che l’ansia puramente cerebrale chiamata in gergo “ansia libera” e più comunemente “apprensione” non emerga da un’area precisa del cervello ma dall’attività sincrona e integrata di molte aree cerebrali; è cioè un prodotto complesso della coscienza di sé nel mondo e della paura per il futuro. E’ quindi un prodotto evoluto, complesso, cognitivo e non primitivo e semplice come l’ansia fisica suscitata da una semplice scarica di adrenalina.
Bene, le benzodiazepine sembrano dunque funzionare sull’ansia libera proprio perché provocano una sorta di nebbiolina cognitiva che appanna la memoria dei nostri guai presenti o futuri.
A parte i suddetti gravi pericoli alla guida, la memoria debole e i falsi ricordi rendono la vita dell’assuntore cronico di benzodiazepine più difficile, problematica e irta di errori o trascuratezze, come quella di un anziano con decadimento cognitivo: egli si trova spesso a cercare dove ha messo oggetti, documenti, chiavi e occhiali o si sforza inutilmente di ricordare dove ha incontrato una persona e che cosa si sono detti, o quale fosse la trama dell’ultimo film visto. E la cosa brutta è che nel tempo i disturbi cognitivi non si attenuano come avviene per molti effetti collaterali dei farmaci, ma persistono e si aggravano per il cronico effetto inibitorio che le benzodiazepine hanno, soprattutto sui neuroni di ippocampo e amigdala.
In generale, alla sospensione del trattamento, le prestazioni cognitive del soggetto tornano pressochè normali ma alcuni studi dimostrano che se l’assunzione è stata molto prolungata, il recupero cognitivo completo potrebbe richiedere molti anni o non avvenire. Non che si resti dementi, questo sicuramente no e sembra che l’insorgenza di demenza neurodegenerativa (Alzheimer o altre forme di demenza) non sia né provoca né facilitata dall’uso di benzodiazepine; però dopo anni di sedazione del cervello, il risveglio completo può richiedere molto tempo.
Un caro saluto a tutti,
Angelo Mercuri