In questa sezione del sito, cercherò di fornire le informazioni più rilevanti sugli effetti degli psicofarmaci.

ADHD e la follia delle “cure”

La sindrome da deficit d’attenzione con iperattività (ADHD) è una condizione che si manifesta solitamente fin da bambini ed è caratterizzata dalla triade: 1) difficoltà di concentrazione, 2) urgenza motoria, 3) difficoltà nei rapporti coi coetanei. Viene attribuita ad un difetto del neuro-sviluppo per cui le connessioni tra certe aree del cervello non si sarebbero sviluppate in modo ottimale. Viene attualmente diagnosticata ad una percentuale di bambini altissima, addirittura il 7% dei bambini al di sotto dei 18 anni, la metà dei quali rimarrebbero ADHD a vita. La terapia si basa oltre che sulla psicoterapia, anche sull’utilizzo di amfetamine. Ma è possibile che ben il 7% dei nostri bambini abbia un difetto del neuro-sviluppo? Il mio sospetto è che tale condizione venga grandemente sovrastimata mentre nella maggior parte dei casi si tratta solo di bambini non portati per studiare ma abilissimi a fare altro, tra cui magari bellissimi lavori manuali di tipo artistico o artigianale. Esorto quindi i genitori e i ragazzi a non insistere sulla strada dello studio se non si è costituzionalmente portati per studiare: ci sono molti modi di realizzarsi nella vita in modo perfetto anche senza fare l’università; mentre insistendo nello studio qualora non si sia portati si può andare incontro a gravi problemi di disistima, di droga e di disadattamento. Ultimo accenno alla follia delle “cure”: ritengo deleterio l’utilizzo di psicofarmaci ed in particolare di Amfetamine in bambini e adolescenti che il più delle volte non sono affetti da alcuna patologia ma semplicemente hanno abilità diverse rispetto allo standard che vorrebbe tutti bravi e tranquilli studenti.

Leggi il mio articolo completo qui sotto, sul quotidiano online “La Voce di Venezia”

 

Quetiapina, un antidepressivo atipico

Quetiapina è classificata tra gli antipsicotici di nuova generazione insieme ai noti Olanzapina, Risperidone, Clozapina e altri perchè, a dosaggio alto, è in grado di mitigare i sintomi delle psicosi quali deliri e allucinazioni. Tuttavia Quetiapina è nota al grande pubblico perché, se utilizzata a basso dosaggio, può lenire comuni disagi psico-emotivi quali ansia e insonnia; pochi sanno invece che Quetiapina ha anche importanti proprietà antidepressive e può essere utilizzata per tale indicazione sia da sola o più spesso in aggiunta alla consueta terapia antidepressiva (sertralina, paroxetina, fluoxetina, venlafaxina, ecc.).

Ma come può un antipsicotico con proprietà sedative funzionare da antidepressivo?

Quetiapina, come tutti gli antipsicotici di nuova generazione, è in  grado di stimolare la trasmissione dopaminergica e noradrenergica nella corteccia prefrontale e limbica e quella serotoninergica in regioni del cervello strategiche per l’umore; essa però possiede queste proprietà in modo nettamente superiore alle altre molecole antipsicotiche della stessa categoria. Da notare che l’effetto antidepressivo di Quetiapina compare già dopo 4 giorni di trattamento mentre per i comuni antidepressivi bisogna attendere 3 settimane circa.

Essa infatti:

  • Riduce di numero (down-regolation) gli auto-recettori serotoninergici inibitori presinaptici 5-HT1A posti sui neuroni del rafe mediano (una regione del cervello appena sopra il midollo spinale), neuroni che sono i maggiori produttori di serotonina; tali autorecettori 5-HT1A hanno fisiologicamente la funzione di frenare l’eccessiva liberazione di serotonina dai neuroni del rafe con un meccanismo a retroazione negativa: Quetiapina è in grado di togliere tale freno e consentire il raggiungimento in sede sinaptica di una concentrazione sovra-fisiologica di serotonina che andrà a stimolare intensamente certi gruppi di neuroni postsinaptici critici per l’umore con cui i neuroni del rafe mediano contraggono sinapsi.
  • Stimola i recettori 5-HT1a postsinaptici e inibisce i 5-HT2a posti sui neuroni della corteccia prefrontale e limbica potenziando indirettamente in tali regioni la trasmissione dopaminergica; bloccando Quetiapina in queste stesse regioni solo debolmente i recettori dopaminergici, il risultato netto è un aumento della trasmissione dopaminergica.
  • Blocca in modo potente i recettori adrenergici Alfa 2 (come fa anche Mirtazapina) col risultato di incrementare la liberazione di noradrenalina in regione prefrontale e più debolmente di serotonina dai nuclei del rafe mediano.
  • Inibisce fortemente il recettore 5-HT7 (come amisulpride) col risultato di migliorare l’umore e calmare l’ansia
  • Un effetto peculiare di Quetiapina (in realtà del suo principale metabolita attivo, la Norquetiapina) è, sorprendentemente, di inibire fortemente la ricaptazione della noradrenalina in regione prefrontale (mentre è un debolissimo inibitore della ricaptazione della serotonina): questo aumento di trasmissione noradrenergica è antidepressivo e viene rinforzato dal blocco dei recettori 5-HT2C che produce un aumento sinergico della concentrazione di noradrenalina prefrontale.
  • Inibisce il recettore istaminergico H1 aumentando la liberazione di serotonina dai neuroni del rafe mediano
  • Inibisce la stimolazione dei recettori NMDA da parte del glutammato (come fa eschetamina, un antidepressivo rapido salvavita) favorendo così la liberazione di serotonina dai neuroni del rafe
  • Svolge azione antiossidante sui neuroni del cervello
  • Contrasta la neuro-infiammazione provocata dalla liberazione di citochine, detta neuro-infiammazione (molto attuale in tempi di Covid) che porta a calo di neurotrasmettitori critici come dopamina e serotonina
  • Abbassa entro 1 settimana il livello di cortisolo circolante, notoriamente troppo alto nei pazienti depressi; questo consente al fattore di crescita neuronale BDGF di restaurare regioni cerebrali critiche per l’umore come l’ippocampo, danneggiate da varie cose tra cui lo stress cronico. Da notare che, dopo 1 settimana di trattamento, i comuni antidepressivi, all’opposto di Quetiapina, fanno salire il livello di cortisolo (in accordo con la loro nota e sgradevole azione ansiogena della prima settimana), livello che poi scenderà dopo circa 3 settimane quando comincerà l’azione terapeutica sull’umore.
  • Migliora la respirazione cellulare dei neuroni critici per l’umore e assai vulnerabili allo stress cronico come i neuroni della corteccia prefrontale e dell’ippocampo. Tale respirazione cellulare avviene nei mitocondri, organelli intracellulari preposti alla produzione di energia i quali spesso sono malfunzionanti nelle malattie mentali; il DNA mitocondriale che codifica per gli enzimi della catena respiratoria è ereditato esclusivamente dalla madre e questo rende ragione del perchè certi disturbi mentali si ereditino molto più facilmente dalla madre che dal padre.
  • Migliora la trasmissione GABAergica nell’ippocampo un po’ come fanno le benzodiazepine ma senza dare i disturbi cognitivi di queste.

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Schizofrenia o Depressione?

Cari lettori,

capita talvolta che lo psichiatra in caso di depressione prescriv a un antipsicotico di seconda generazione (Olanzapina, Quetiapina, Aripiprazolo, Risperidone) a basso dosaggio accanto alla consueta terapia antidepressiva e questo comprensibilmente provoca un certo allarme nel paziente: “Perché mi ha prescritto un antipsicotico? Forse ha ravvisato in me le caratteristiche dello psicotico; allora sono molto più grave di quanto pensassi”! Oppure: “Ma se l’antipsicotico abbassa il livello di dopamina come può essere utile come antidepressivo; si è forse sbagliato il medico”? Il foglietto illustrativo degli antipsicotici è poi infarcito di effetti collaterali gravissimi che terrorizzano il paziente.

Vorrei con questo breve articolo rassicurarvi sul fatto che non dovete allarmarvi o temere un errore medico perché talvolta, associare un antipsicotico all’antidepressivo risulta clinicamente molto utile nelle depressioni resistenti in quanto l’antipsicotico di seconda generazione (ASG) a basso dosaggio, in sinergia con l’antidepressivo (ma talvolta anche da solo):

  1. incrementa in modo più o meno diretto la trasmissione dopaminergica in regioni strategiche per l’umore come la corteccia prefrontale, il nucleus accumbens e la corteccia limbica
  2. migliora  il sonno del paziente depresso, spesso insufficiente e disturbato.
  3. quieta la possibile agitazione ansiosa di certi depressi, talvolta aggravata dal trattamento antidepressivo nei primi 7-15 giorni di trattamento.
  4. calma l’eventuale nausea e diarrea dovute a iperattività gastrointestinale da eccesso di serotonina, soprattutto nelle prime due settimane di trattamento.
  5. funziona come stabilizzatore dell’umore nel corso della terapia con antidepressivi, per evitare pericolosi viraggi in mania nelle persone che tendono alla bipolarità.

Certamente, bisogna prima provare a risolvere la depressione col solo uso di antidepressivi ma se non si raggiunge il risultato desiderato, si può associare qualche altro psicofarmaco come potenziamento e gli antipsicotici a basso dosaggio sono una delle prime opzioni. A seconda del tipo di depressione, si può optare per Aripiprazolo se c’è bisogno di una maggiore attivazione adrenergica mentre Olanzapina, Quetiapina o Risperidone, danno un effetto antidepressivo con maggiore componente sedativa.

Per quanto riguarda gli effetti collaterali degli antipsicotici bisogna sempre tenere presente che le case farmaceutiche prudenzialmente scrivono sui bugiardini tutti gli effetti possibili, anche i più rari verificatisi durante prolungati trattamenti a dosaggi massimi; ai bassi dosaggi delle terapie adiuvanti per la depressione invece, la maggior parte degli effetti riferiti sui bugiardini sono da trascurare.

Approfondimento.

Gli antipsicotici di seconda generazione a basso dosaggio danno un effetto antidepressivo, perchè:

  • Stimolano il recettore 5HT1A postsinaptico della serotonina che a livello di corteccia prefrontale e limbica consente la liberazione di dopamina dai terminali assonici dei lunghi neuroni meso-limbici e meso-corticali. L’attivazione dopaminergica della corteccia pre-frontale e limbica ha un noto effetto antidepressivo oltre che di miglioramento cognitivo.
  • Inibiscono il recettore della serotonina 5HT2A con effetto analogo alla stimolazione del 5HT1A
  • Inibiscono (come fa la mirtazapina), il recettore presinaptico adrenergico Alfa 2 con l’effetto di favorire la trasmissione noradrenergica e dopaminergica in diverse regioni cerebrali tra cui corteccia prefrontale e limbica
  • Bloccano il recettore 5HT7, un recettore ancora poco conosciuto il cui blocco ha un effetto antidepressivo, migliorativo su sonno, apprendimento, memoria e regolazione dei ritmi circadiani. E’ localizzato a livello di corteccia cerebrale, ippocampo, ipotalamo, talamo, nuclei serotoninergici del rafe nel tronco encefalico. Si pensa che il potente blocco del recettore 5HT7 da parte di Amisulpride nelle suddette zone cerebrali sia responsabile della potente e rapida azione antidepressiva di tale psicofarmaco antipsicotico atipico.
  • Provocano un calo della trasmissione glutammatergica (liberazione di glutammato) che ha una pronta azione antidepressiva. L’esketamina ad esempio, ha una potente azione inibitoria sul rilascio di glutammato e ha un’azione rapidissima in certi casi salvavita nelle gravissime crisi depressive.
  • Inibiscono il rilascio di cortisolo dalla corteccia surrenalica favorendo l’azione rigenerativa sui neuroni operata dal BDNF cerebrale (brain-derived neurotrophic factor) che ha azione trofica e rigenerativa sui neuroni di alcune aree del cervello.
  • Antagonizzano il recettore 5HT2C facilitando la trasmissione dopaminergica e noradrenergica nel la corteccia prefrontale e nel centro del piacere, il Nucleus Accumbens
  • A basso dosaggio, bloccano gli autorecettori dopaminergici inibitori D2 e D3 favorendo la liberazione di dopamina nella corteccia prefrontale.

Un caro saluto,

A. Mercuri

Antidepressivi: reali benefici ed effetti collaterali

Vorrei soffermarmi ancora una volta sugli effetti collaterali comuni a tutti gli antidepressivi serotoninergici per esortare le persone a cominciare una terapia con essi solo quando tutte le altre strade sono state tentate o quando non c’è più la forza di reagire.

Innanzitutto, è da valutare la presenza o meno di problemi risolvibili che abbiano portato allo stato depressivo; da ricordare infatti che la depressione non è sempre una malattia di sradicare ma è il più delle volte un antico e utile automatismo biologico che, almeno nelle sue fasi iniziali, spinge l’individuo a risolvere i propri problemi ripiegandosi su se stesso in una assidua autoriflessione. Non dimenticate poi che molti studi dimostrano in modo evidente l’utilità degli antidepressivi solo nelle gravi depressioni e non in quelle leggere o medie mentre è da evitarne l’utilizzo in caso di semplice ansia, ossessioni, fobie, panico, insonnia: potreste anche avere un sollievo momentaneo a tali sintomi ma il sollievo dura qualche mese o anno, poi tutto torna solitamente come prima pur prendendo il farmaco; oppure, potrebbero sopraggiungere col tempo sintomi prima non presenti: è frequente infatti che una persona abbia cominciato a curarsi con antidepressivi per ansia cronica e si ritrovi dopo qualche anno ugualmente ansioso ma ora anche depresso, stranamente ossessivo o gravemente insonne. Ancora, come ho già ampiamente spiegato, gli antidepressivi tendono a far peggiorare la depressione sebbene l’effetto del farmaco riesca a coprire per qualche tempo l’aggravarsi della sintomatologia che poi si riaffaccia quando il farmaco non funziona più; in due parole, gli antidepressivi attualmente in uso fanno peggiorare il substrato organico (cioè cerebrale) della depressione perché il cervello depresso in qualche modo vuole la propria depressione e se la riprenderà con gli interessi: se voi gli aumentate la serotonina, lui diminuirà il numero di recettori per essa o la loro sensibilità oppure ne diminuirà la produzione: quando il muro contro muro tra farmaco e cervello sarà completo, la depressione ricomparirà nonostante il farmaco; a quel punto lo psichiatra potrebbe proporvi di aumentare la dose di antidepressivo oppure di cambiare molecola ma il cervello ormai ha imparato a contrastare l’effetto dell’antidepressivo talmente bene e velocemente che anche un raddoppio di dose darà un effimero beneficio mentre il cambio di molecola si rivelerà forse efficace ma solo per un breve periodo perché tutte le molecole attualmente disponibili condividono il medesimo meccanismo d’azione. I disturbi sessuali sono poi un tipico effetto collaterale degli antidepressivi, quello più noto al grande pubblico e forse il più temuto soprattutto dagli uomini. Sembra infatti che l’eccesso di serotonina vada a compromettere i delicati equilibri della sessualità sovvertendoli nelle dimensioni del desiderio, dell’eccitamento genitale e dell’orgasmo. Più in dettaglio:

  • Desiderio: per il desiderio sessuale molto importante è la corteccia cerebrale limbica, tenuta accesa dai lunghi prolungamenti assonici dei neuroni meso-limbici dopaminergici (lunghi neuroni che hanno il corpo cellulare nel tronco encefalico e allungano i loro prolungamenti dendritici fino alla corteccia limbica). La dopamina dunque accende e mantiene la libido mentre la serotonina, attivando i propri recettori 5HT-R2, abbassa il tono dopaminergico della corteccia limbica spegnendo la libido.
  • Eccitamento: il tono della corteccia limbica è importante sia per il desiderio che per l’eccitamento sessuale (erezione nel maschio, inturgidimento del clitoride e lubrificazione vaginale nella donna) quindi l’azione inibitoria della serotonina su tale regione cerebrale comprometterà anche l’eccitamento; la serotonina inoltre esercita un’azione inibitoria sui rilessi sensitivo-motorii viscerali spinali preposti alla vasodilatazione nel pene e nel clitoride. L’eccesso di serotonina poi, a livello d’organo, impedisce il rilascio del vasodilatatore ossido nitrico, fondamentale per l’inturgidimento dei tessuti erettili (azione esattamente opposta a quella di Viagra e simili)
  • Orgasmo ed eiaculazione: la serotonina in eccesso può provocare anorgasmia in entrambe i sessi attraverso: 1) Iper-stimolazione dei propri recettori 5HT-2 e conseguente inibizione a vari livelli del sistema nervoso della trasmissione dopaminergica e noradrenergica; 2) Alterazione dei riflessi spinali autonomici simpatici e parasimpatici fondamentali per regolare finemente orgasmo ed eiaculazione.

Sempre più persone si lamentano del permanere di disturbi sessuali vari anche dopo la sospensione degli antidepressivi, e tale condizione ha ricevuto il none di PSSD. Non si trova nulla per ora con gli esami a disposizione ma è possibile che le alterazioni sessuali avute durante l’uso degli antidepressivi, si scrivono in modo più duraturo, sebbene reversibile, nel DNA sotto forma di modificazioni epigenetiche.

Non tutti sanno poi che la medesima pompa di ricaptazione della serotonina del neurone è presente anche nelle piastrine e nelle cellule dell’apparato digerente. Nelle piastrine essa recupera la serotonina dal sangue e la riporta dentro la cellula ove una corretta concentrazione è necessaria al processo della coagulazione; Continua a leggere

Benzodiazepine & Decadimento cognitivo

La maggior parte delle persone che assume benzodiazepine non è consapevole dei problemi cognitivi che esse provocano e collega solo debolmente i propri vuoti di memoria, la depressione e il rallentamento psicomotorio all’utilizzo di tali farmaci. In realtà, le benzodiazepine sono insidiose perché non sono molto tossiche per l’organismo e apparentemente non fanno danni nemmeno se utilizzate a lungo e a dosaggi alti: il fegato e i reni le smaltiscono senza problemi, non irritano lo stomaco, non aumentano colesterolo, trigliceridi o glicemia, non fanno ingrassare e, soprattutto in chi è abituato ad assumerle, non danno nemmeno sonnolenza o stordimento. Ancora, se il dosaggio è quello comune, non danno grossi problemi sessuali né immediati né futuri (cosa che fanno invece gli antidepressivi), non interagiscono con altri farmaci e possono essere assunte, a dosaggio adeguato, anche da persone gravemente malate. Anche per il sistema nervoso non sembrano particolarmente tossiche (come lo sono invece i neurolettici antipsicotici) cioè non provocano tremori, akatisia, rigidità nemmeno se usate a lungo. Per tutti questi motivi, le benzodiazepine, fin dalla loro prima comparsa sul mercato 60 anni fa circa, sono state prescritte e assunte con grande facilità.
Diciamo che il loro effetto piacevole unito alla mancanza di effetti collaterali eclatanti è il motivo per cui moltissime persone al mondo non rinunciano alle goccine serali anche perché la tensione nervosa e lo stress oltre che l’insonnia, sono compagni di viaggio abituali in questo nostro mondo artificiale e agitato e se c’è una sostanza non tossica che fa rientrare in sé alla fine di una pesante giornata lavorativa, questa è assai gradita e ben accolta.
Ma ci sono ugualmente alcuni motivi più che sufficienti per dire no all’uso quotidiano di questo rimedio facile e apparentemente atossico:

  • Le benzodiazepine usate in modo quotidiano, non danno problemi neurologici evidenti di tipo motorio o sensitivo ma danno un clamoroso deficit delle prestazioni cognitive, in particolare della memoria, il che può rendere difficile l’apprendimento di nuove nozioni o anche il corretto svolgimento del proprio abituale lavoro.
  • Alla lunga abbassano il tono dell’umore, aumentano l’ansia, peggiorano l’insonnia, l’agorafobia, la fobia sociale e le ossessioni. Se il dosaggio è alto, provocano anche disinteresse per il sesso.
  • Se usate a lungo, danno irritabilità, rabbia e maggiore propensione a perdere la ragione e il controllo per motivi banali.
  • Ipotalamo e ipofisi che sono le centrali di controllo del sistema ormonale, sono pieni di recettori per le benzodiazepine quindi una certa inibizione globale della secrezione ormonale, dagli ormoni sessuali a quelli tiroidei è senz’altro possibile soprattutto per alti dosaggi (anche i testicoli hanno recettori per le benzodiazepine)
  • Sono responsabili di gravi incidenti stradali perché, oltre a rallentare i riflessi e diminuire la coordinazione motoria, danno grave distraibilità: se una persona normale, ad esempio, distoglie momentaneamente lo sguardo dalla strada, incuriosito da qualcosa, lo fa solo per una frazione di secondo perché ricorda molto bene che sta guidando mentre se tale persona ha assunto benzodiazepine, rischia di “dimenticarsi” per troppi istanti che sta guidando….e prima di riportare gli occhi sulla strada forse si è già infilato sotto un camion.

Le benzodiazepine, come molte volte ho scritto, andrebbero prese solo saltuariamente oppure, se in modo continuativo, al massimo per 1 mese (stando molto attenti se si guida un’auto); poi andrebbero scalate e tolte perché più lungo è il tempo di assunzione e più è facile diventarne dipendenti e incorrere in disturbi cognitivi che peggiorano col tempo. Inoltre, mentre una assunzione breve o sporadica è assai efficace su sonno, ansia, tensione nervosa, sintomi psicosomatici, l’uso prolungato comporta un graduale peggioramento delle condizioni psicofisiche e del funzionamento sociale.
Purtroppo, sembra che l’effetto deleterio sulla memoria delle benzodiazepine, sia responsabile anche del loro effetto ansiolitico. Esse sarebbero rasserenanti proprio perché compromettendo la memoria fanno vivere su una nuvoletta di obliosa serenità. Mentre infatti esistono aree cerebrali (sulle quali le benzodiazepine agiscono molto bene all’inizio del trattamento, poi sempre meno) responsabili dell’ansia fisica (tachicardia, iperventilazione, vertigini, acufeni, tremori), sembra che l’ansia puramente cerebrale chiamata in gergo “ansia libera” e più comunemente “apprensione” non emerga da un’area precisa del cervello ma dall’attività sincrona e integrata di molte aree cerebrali; è cioè un prodotto complesso della coscienza di sé nel mondo e della paura per il futuro. E’ quindi un prodotto evoluto, complesso, cognitivo e non primitivo e semplice come l’ansia fisica suscitata da una semplice scarica di adrenalina.
Bene, le benzodiazepine sembrano dunque funzionare sull’ansia libera proprio perché provocano una sorta di nebbiolina cognitiva che appanna la memoria dei nostri guai presenti o futuri.
A parte i suddetti gravi pericoli alla guida, la memoria debole e i falsi ricordi rendono la vita dell’assuntore cronico di benzodiazepine più difficile, problematica e irta di errori o trascuratezze, come quella di un anziano con decadimento cognitivo: egli si trova spesso a cercare dove ha messo oggetti, documenti, chiavi e occhiali o si sforza inutilmente di ricordare dove ha incontrato una persona e che cosa si sono detti, o quale fosse la trama dell’ultimo film visto. E la cosa brutta è che nel tempo i disturbi cognitivi non si attenuano come avviene per molti effetti collaterali dei farmaci, ma persistono e si aggravano per il cronico effetto inibitorio che le benzodiazepine hanno, soprattutto sui neuroni di ippocampo e amigdala.
In generale, alla sospensione del trattamento, le prestazioni cognitive del soggetto tornano pressochè normali ma alcuni studi dimostrano che se l’assunzione è stata molto prolungata, il recupero cognitivo completo potrebbe richiedere molti anni o non avvenire. Non che si resti dementi, questo sicuramente no e sembra che l’insorgenza di demenza neurodegenerativa (Alzheimer o altre forme di demenza) non sia né provoca né facilitata dall’uso di benzodiazepine; però dopo anni di sedazione del cervello, il risveglio completo può richiedere molto tempo.

Un caro saluto a tutti,
Angelo Mercuri

“Napoleone come Marte vincitore” realizzata da Canova tra il 1802 e il 1806

Body Building, Muscoli e Testosterone

E’ cosa nota che chi prataica body building a livello agonistico, quasi sempre assume sostanze di vario tipo ma le principali sono il testosterone e i suoi derivati, raggruppati sotto la denominazione di  androgeni anabolizzanti. Questo principalmente perché tali ormoni a dosi sovra-fisiologiche, provocano un notevole aumento di volume e di forza dei muscoli, ma non solo: enfatizzano tutte le caratteristiche tipicamente maschili (sia nell’uomo che nella donna), come l’atteggiamento dominante, aggressivo e competitivo, il tono dell’umore alto e un forte desiderio sessuale. Insomma, per i body builder professinisti, assumere testosterone oltre che essere utile professionalmente è anche piacevole nella vita di tutti i giorni.

Purtroppo assai spesso gli anabolizzanti girano nelle palestre di body building non solo tra i professionisti ma anche tra i dilettanti che non hanno alcuna intenzione di far gare ma soltanto di aumentare rapidamente la propria massa muscolare rinforzando pure virilità e umore. Addirittura, vi sono persone che assumono anabolizzanti pur senza fare sport ma solo per trasformare la massa grassa in massa magra.

Ma se le dosi sovra-fisiologiche di testosterone danno risultati rapidi e piacevoli perché non le assumono tutti i maschi? La risposta è molto semplice: perché le mega dosi di androgeni anabolizzanti che danno gli effetti su riportati sono molto dannose per la salute soprattutto negli anni.

Quali sono dunque tali effetti collaterali?

Prima di tutto, il testosterone esogeno e i suoi derivati bloccano la secrezione ipofisaria di LH e di FSH provocando infertilità e soppressione della produzione testicolare di testosterone; i testicoli, messi a riposo, diventano piccoli e improduttivi; se l’assunzione di testosterone è costannte e prolungata, non è detto che alla sospensione tutto torni come prima: l’asse ipotalamo-ipofisi-testicoli potrebbe risultarne permanentemente compromessa con la necessità di proseguire a vita una terapia sostitutiva con testosterone esogeno a basso dosaggio. Inoltre, l’assunzione di testosterone in epoca puberale può provocare statura più bassa da adulto perché accelera l’ossificazione delle cartilagini di accrescimento delle epifisi ossee.

La dose di testosterone necessaria in palestra è molto al disopra di quella fisiologica e non ha le naturali oscillazione a seconda delle esigenze, provocando:

  • aumento di colesterolo LDL (colesterolo cattivo) e calo di HDL (colesterolo buono); aumento di trigliceridi; acne; iperglicemia con tendenza nel tempo all’instaurarsi di diabete da insulino-resistenza;
  • aumentato rischio di trombosi anche per l’aumento spropositato di globuli rossi (ematocrito) e di fattori pro-coagulanti; aumentato rischio di emorragie subdurali da sforzo; danno cardiaco diretto sui miocardiociti e aumentato rischio di infarto da vasospasmo delle coronarie; possibili aritmie e spesso ipertensione;
  • problemi epatici come ittero colestatico, aumento delle transaminasi, formazione di piccole sacche di sangue in seno al parenchima epatico con rischio di rottura ed emorragia (peliosi epatica); aumentato rischio di tumori epatici benigni (adenomi) e più raramente maligni (carcinomi) (I danni al fegato da anabolizzanti ora sono molto diminuiti perché provocati principalmente dall’assunzione di anabolizzanti orali, molto meno diffusi a partire dagli anni ’80).
  • compromissione della funzionalità renale con predisposizione al tumore di Wilms;
  • ingrossamento delle mammelle nel maschio (ginecomastia) provocato dalla conversione delle abbondanti dosi di testosterone in estrogeni da parte dell’enzima aromatasi.
  • I muscoli diventano più forti e resistenti dei tendini predisponendo a stiramenti e rotture tendinee.
  • Nelle donne, l’eccesso di testosterone provoca perdita di fertilità con mascolinizzazione dell’aspetto: ridotto volume delle mammelle, possibile crescita di peli corporei, perdita di capelli, acne, tono di voce maschile, aumentate dimensioni del clitoride con desiderio sessuale amplificato (da ricordare che il testosterone è l’ormone del piacere sessuale sia nell’uomo che nelle donna): attenzione perché questa virilizzazione può essere in parte irreversibile.
  • Il testosterone in dosi sovra-fisiologiche provoca anche modificazioni psico-emotive e comportamentali: una condizione di baldanzosa aggressività con tono dell’umore un po’esaltato da vincente e il rischio aumentato di commettere prepotenze e violenze; le dosi alte di testosterone esogeno non possono però essere prese a lungo soprattutto quando cominciano ad evidenziarsi i primi danni al corpo e quindi vanno scalate e sospese con la comparsa di una condizione opposta a quella precedente (piacevolmente sopra le righe) con ansia, depressione, demotivazione, senso di debolezza e perdita di desiderio sessuale.

Non è la prima volta che mi contatta qualche giovane stranamente in stato depressivo che dopo un po’ confessa di aver abusato di anabolizzanti in palestra, poi sospesi con la comparsa di debolezza, impotenza, ansia e depressione.  Ed è per questo che esorto tutti i giovani e giovanissimi a non cascare nella sciocca tentazione di vivere un giorno da leone per pagarlo poi con cento anni da pecora.

Bisogna inoltre essere molto cauti con gli integratori da palestra perché è stato visto che un 15% di tali prodotti sono contaminati durante il processo di produzione con androidi anabolizzanti (accidentalmente si spera…!) . I bei risultati ottenuti con tali integratori potrebbero dunque in parte essere dovuti ad ormoni anabolizzanti inconsapevolmente assunti. Continua a leggere

Il CBD (Cannabidiolo) come psicofarmaco

Come ho già detto in precedenza, fumare spinelli ripetutamente e per periodi prolungati è un’abitudine deleteria per l’equilibrio psichico di una persona, tanto più se ciò avviene in età adolescenziale. (vedi: Cannabis & Schizofrenia)
Responsabile dei danni da Cannabis è uno dei due principali costituenti, denominato THC (tetraidrocannabinolo) che può provocare, in acuto, aumento dell’ansia fino al panico nonché psicosi; se assunto per lungo tempo poi, può dare depressione, psicosi cronica, disturbi cognitivi e disturbi delle funzioni frontali (demotivazione, mancanza di iniziativa, incapacità di definire, progettare e realizzare obiettivi adatti a sé). Notiamo anche però che il THC ha un’azione euforizzante e analgesica e per questi motivi viene assunto con gran frequenza nonostante la sua tossicità.
Il secondo più importante costituente della Cannabis è invece il CBD o cannabidiolo, una sostanza con effetti in gran parte opposti a quelli del THC e quindi potenzialmente in grado di svolgere un’azione lenitiva su vari disturbi psico-emotivi. Dico potenzialmente perché a tutt’oggi è sicuro che CBD mitighi gli effetti nocivi del THC mentre non sono pronti studi scientifici di alto valore che ne comprovino l’efficacia come psicofarmaco. Tuttavia, gli studi attualmente a disposizione e l’esperienza diretta delle persone, sembrano convergere tutti sull’utilità di CBD per lenire l’ansia, la tensione nervosa, e per migliorare l’umore.
A tali effetti positivi riportati, corrisponde in realtà un meccanismo d’azione che li giustifica, infatti il CBD:

  • Rende il neurone meno eccitabile a) ostacolando il “ritorno a casa” del sodio all’interno del neurone e b) aumentando la concentrazione intracellulare di Calcio
  • Stimola i recettori 1a della serotonina (5HT1a-R)
  • Stimola i recettori Mu e Delta degli oppioidi endogeni
  • Rallenta la degradazione di un endo-cannabinoide naturale chiamato Anandamide
  • Fa aumentare la concentrazione extracellulare di ADP (impedendone la ricaptazione all’interno del neurone) provocando quindi sonnolenza. Il CBD in questo caso provoca conseguenze opposte a quelle della caffeina che invece è in grado di spiazzare l’ADP dal proprio recettore dando effetto stimolante.

Bisogna aggiungere, a supporto di una reale e robusta azione psico-neuro-farmacologica del CBD, il suo utilizzo ufficialmente approvato per tre rare forme di epilessia resistente ai comuni trattamenti antiepilettici.
In natura, il CBD da solo non si trova quindi tutti i preparati disponibili sono ottenuti o per sintesi chimica ex novo o per estrazione dalla pianta Cannabis Sativa. Come è noto, vi sono moltissimi diversi prodotti venduti senza necessità di ricetta medica che contengono CBD da solo o in associazione ad altre sostanze compreso ovviamente il THC. Esistono poi due farmaci veri e propri vendibili solo i farmacia che la contengono: l’Epidyolex che contiene solo CBD ed ha come unica indicazione ufficiale l’epilessia associata a tre rare malattie, e il Sativex, uno spray che si assorbe nella mucosa orale e rilascia sia CBD che THC in proporzioni simili ed è indicato ufficialmente solo per la spasticità associata alla sclerosi multipla.
Leggendo il foglietto illustrativo dei due prodotti redatto dall’AIFA, si nota come sia il CBD da solo (Epidyolex) che, a maggior ragione, l’associazione CBD + THC (Sativex) non sono esenti da effetti collaterali e potenziali rischi.

A. Mercuri

Litio e depressione cronica recidivante

Il Litio, terzo elemento della tavola periodica, è una sostanza naturale molto semplice che in natura si trova sotto forma di sale aggregato in pietre e rocce (líthos=pietra); le piogge poi dilavano le rocce quindi il litio è presente nell’acqua potabile, viene assorbito dalle piante, assunto dagli animali e dall’uomo che in una dieta media assorbe circa 1 mg al giorno di litio elementare; una piccola dose ma indispensabile per la salute psicofisica: studi di geologia su amplissimi campioni di popolazione hanno evidenziato che ove nell’acqua potabile c’è una dose maggiore di litio, vi sono meno depressioni, demenze, suicidi, la vita è più lunga tant’è che qualcuno ha proposto di aggiungerne una micro dose nell’acqua potabile come già si fa col fluoro contro la carie dentaria o con lo jodio nel sale alimentare per la prevenzione dell’ipotiroidismo.
Comunemente le persone e anche molti medici, ancora associano il litio solo alla psicosi maniaco depressiva, la forma più grave del disturbo bipolare (disturbo nel quale si alternano o si sovrappongono sovraeccitamento e depressione) in cui la tossicità del farmaco è tristemente accettata data la gravità della patologia da curare; in realtà oggi il litio viene usato con successo anche a dosaggi bassi e non patogeni per patologie psichiatriche di minore gravità come la depressione cronica ricorrente (molto comune tra gli utilizzatori di antidepressvi), il temperamento ciclotimico (lieve bipolarità costituzionale), il temperamento ipertimico (lieve maniacalità costituzionale), prevenzione e stabilizzazione del decadimento cognitivo.
Il litio  ha cominciato la sua carriera alla fine degli anni ’40 del 1900, epoca in cui esistevano ancora i manicomi e venivano curate solo le malattie mentali gravi mentre quelle lievi non venivano nemmeno prese in considerazione: la prima somministrazione di Litio infatti venne fatta dallo psichiatra australiano John Cade su pazienti maniacali ricoverati in manicomio. Da allora (e fin quasi ai giorni nostri) il litio è stato dunque utilizzato solo nelle forme più gravi di disturbo bipolare, di depressione e di mania e sempre a dosaggio mediamente utile per tali gravi patologie (litiemia tra 0,6 e 1.0 mmol/L di sangue), dose pericolosamente vicina alla tossicità. Lo stereotipo ancora rimasto è: sì al litio per i gravi disturbi dell’umore ma, essendo molto tossico, va fatto un bilancio tra i vantaggi per la mente e i danni per il corpo.

Quali danni per il corpo? Se si supera la concentrazione nel sangue di 1,0 mmol/L la tossicità è immediata soprattutto a danno dei reni mentre se anche mantieni un dosaggio interno al range, comunque rischi di andare incontro negli anni ad un danno cumulativo a reni e tiroide.
Oggi non è più così, la convinzione che il litio funzioni solo all’interno del range standard e quindi vada riservato alle gravi patologie non è più un’assioma: a bassi dosaggi atossici il litio stabilizza le forme lievi di oscillazione dell’umore, rinforza la terapia antidepressiva, previene il suicidio e la demenza.

Per quanto riguarda la depressione va osservato che il litio non è solo un farmaco sintomatico ma è curativo: mentre cioè i comuni antidepressivi agiscono solo innalzando il livello di uno o due neurotrasmettitori il che provoca presto abitudine e perdita di efficacia, il litio agisce in senso antidepressivo su molti bersagli molecolari del neurone trasformando gradualmente ma profondamente la micro-anatomia del cervello e dando una condizione di benessere simile a quella naturale. La mancata assuefazione al suo effetto e la sua capcità di prevenire o arrestare la demenza fanno pensare ad una azione antidepressiva secondaria al miglioramento della salute globale del cervello. Continua a leggere

Prolattina alta: che fare?

La prolattina è un ormone prodotto dall’ipofisi che ha la funzione principale di stimolare la produzione di latte nella donna durante l’allattamento. Anche l’uomo tuttavia produce una piccola dose di prolattina il cui significato è poco noto. Sia nella donna che nell’uomo, l’eccesso costante di prolattina è dannoso perché provoca una diminuita produzione di FSH ed LH, due ormoni ipofisari che stimolano le gonadi a produrre testosterone nell’uomo ed estrogeni nella donna.

Come conseguenza diretta di un eccesso di prolattina sulle ghiandole mammarie, in entrambe i sessi vi è ingrossamento delle mammelle fino ad arrivare talvolta alla secrezione spontanea di latte dai capezzoli (galattorrea); indirettamente poi, a causa del calo degli ormoni sessuali, la prolattina in eccesso provoca in entrambe i sessi ridotto desiderio sessuale, ridotta fertilità e osteoporosi.

Importante notare comunque che la gravità dei sintomi non è proporzionale al livello di prolattina perché ci sono individui che pur avendone alti livelli son privi di sintomi mentre altri, con una prolattina appena sopra la norma, hanno già inturgidimento delle ghiandole mammarie (nel maschio chiamata ginecomastia), disturbi sessuali e calo della fertilità.

Più nello specifico, poco testosterone nell’uomo significa perdita di interesse per il sesso, umore basso e scarsa energia; pochi estrogeni nella donna provocano atrofia e secchezza della mucosa uretrale e vaginale, dolore durante il coito, vampate di calore, irregolarità mestruali, acne e moderato irsutismo.

Venendo alle cause di iperprolattinemia, dobbiamo ovviamente ricordare le malattie dell’ipotalamo e dell’ipofisi nonché l’ipotiroidismo e l’uso di levodopa nei pazienti parkinsoniani; ma di gran lunga più comune è l’iperprolattinemia da psicofarmaci.

Gli psicofarmaci che provocano più facilmente e fortemente iperprolattinemia sono gli antipsicotici (aloperidolo, perfenazina, quetiapina, risperidone, amisulpride) perché inibiscono la liberazione di dopamina anche a livello ipotalamico, dopamina che ha una funzione inibitoria sulla secrezione ipofisaria di prolattina. Togliendo quindi il freno dopaminergico, la prolattina verrà rilsciata in abbondanza in circolo. Anche gli antidepressivi, sia pur raramente e in misura molto minore, possono provocare iperprolattinemia ed in particolare Clomipramina (ad alte dosi però!). Continua a leggere

Modalina (trifluoperazina)

E’ un vecchio farmaco sintetizzato nei fervidi e scientificamente prolifici, postbellici anni ’50 del ‘900, appartenente alla categoria delle fenotiazine, unico tra gli antipsicotici sia di vecchia generazione (perfenazina, aloperidolo, coloropromazina, promazina, aloperidolo, tiopentixolo), che di nuova generazione (olanzapina, quetiapina, risperidone) ad essere approvato dalla FDA americana e dall’AIFA italiana anche per i disturbi d’ansia (oltre che per le psicosi ovviamente). Fondamentale per tale approvazione è stato l’articolo del lontano 1986 di J. Mendels e altri Autori: “Effective short-term treatment of generalized anxiety disorder with trifluoperazine” oltre alla decennale esperienza clinica in tal senso.
Così si legge nella scheda tecnica AIFA di Modalina riguardo alle indicazioni del prodotto: 
“Per il trattamento delle manifestazioni di disordini psicotici. Per il controllo degli stati di ansia, tensione ed agitazione che si osservano nelle nevrosi o associati a somatizzazioni”.
Ancora, sul suo meccanismo d’azione, dalla scheda tecnica AIFA: Continua a leggere