Psicofarmaci

Il CBD (Cannabidiolo) come psicofarmaco

Come ho già detto in precedenza, fumare spinelli ripetutamente e per periodi prolungati è un’abitudine deleteria per l’equilibrio psichico di una persona, tanto più se ciò avviene in età adolescenziale. (vedi: Cannabis & Schizofrenia)
Responsabile dei danni da Cannabis è uno dei due principali costituenti, denominato THC (tetraidrocannabinolo) che può provocare, in acuto, aumento dell’ansia fino al panico nonché psicosi; se assunto per lungo tempo poi, può dare depressione, psicosi cronica, disturbi cognitivi e disturbi delle funzioni frontali (demotivazione, mancanza di iniziativa, incapacità di definire, progettare e realizzare obiettivi adatti a sé). Notiamo anche però che il THC ha un’azione euforizzante e analgesica e per questi motivi viene assunto con gran frequenza nonostante la sua tossicità.
Il secondo più importante costituente della Cannabis è invece il CBD o cannabidiolo, una sostanza con effetti in gran parte opposti a quelli del THC e quindi potenzialmente in grado di svolgere un’azione lenitiva su vari disturbi psico-emotivi. Dico potenzialmente perché a tutt’oggi è sicuro che CBD mitighi gli effetti nocivi del THC mentre non sono pronti studi scientifici di alto valore che ne comprovino l’efficacia come psicofarmaco. Tuttavia, gli studi attualmente a disposizione e l’esperienza diretta delle persone, sembrano convergere tutti sull’utilità di CBD per lenire l’ansia, la tensione nervosa, e per migliorare l’umore.
A tali effetti positivi riportati, corrisponde in realtà un meccanismo d’azione che li giustifica, infatti il CBD:

  • Rende il neurone meno eccitabile a) ostacolando il “ritorno a casa” del sodio all’interno del neurone e b) aumentando la concentrazione intracellulare di Calcio
  • Stimola i recettori 1a della serotonina (5HT1a-R)
  • Stimola i recettori Mu e Delta degli oppioidi endogeni
  • Rallenta la degradazione di un endo-cannabinoide naturale chiamato Anandamide
  • Fa aumentare la concentrazione extracellulare di ADP (impedendone la ricaptazione all’interno del neurone) provocando quindi sonnolenza. Il CBD in questo caso provoca conseguenze opposte a quelle della caffeina che invece è in grado di spiazzare l’ADP dal proprio recettore dando effetto stimolante.

Bisogna aggiungere, a supporto di una reale e robusta azione psico-neuro-farmacologica del CBD, il suo utilizzo ufficialmente approvato per tre rare forme di epilessia resistente ai comuni trattamenti antiepilettici.
In natura, il CBD da solo non si trova quindi tutti i preparati disponibili sono ottenuti o per sintesi chimica ex novo o per estrazione dalla pianta Cannabis Sativa. Come è noto, vi sono moltissimi diversi prodotti venduti senza necessità di ricetta medica che contengono CBD da solo o in associazione ad altre sostanze compreso ovviamente il THC. Esistono poi due farmaci veri e propri vendibili solo i farmacia che la contengono: l’Epidyolex che contiene solo CBD ed ha come unica indicazione ufficiale l’epilessia associata a tre rare malattie, e il Sativex, uno spray che si assorbe nella mucosa orale e rilascia sia CBD che THC in proporzioni simili ed è indicato ufficialmente solo per la spasticità associata alla sclerosi multipla.
Leggendo il foglietto illustrativo dei due prodotti redatto dall’AIFA, si nota come sia il CBD da solo (Epidyolex) che, a maggior ragione, l’associazione CBD + THC (Sativex) non sono esenti da effetti collaterali e potenziali rischi.

A. Mercuri

Litio e depressione cronica recidivante

Il Litio, terzo elemento della tavola periodica, è una sostanza naturale molto semplice che in natura si trova sotto forma di sale aggregato in pietre e rocce (líthos=pietra); le piogge poi dilavano le rocce quindi il litio è presente nell’acqua potabile, viene assorbito dalle piante, assunto dagli animali e dall’uomo che in una dieta media assorbe circa 1 mg al giorno di litio elementare; una piccola dose ma indispensabile per la salute psicofisica: studi di geologia su amplissimi campioni di popolazione hanno evidenziato che ove nell’acqua potabile c’è una dose maggiore di litio, vi sono meno depressioni, demenze, suicidi, la vita è più lunga tant’è che qualcuno ha proposto di aggiungerne una micro dose nell’acqua potabile come già si fa col fluoro contro la carie dentaria o con lo jodio nel sale alimentare per la prevenzione dell’ipotiroidismo.
Comunemente le persone e anche molti medici, ancora associano il litio solo alla psicosi maniaco depressiva, la forma più grave del disturbo bipolare (disturbo nel quale si alternano o si sovrappongono sovraeccitamento e depressione) in cui la tossicità del farmaco è tristemente accettata data la gravità della patologia da curare; in realtà oggi il litio viene usato con successo anche a dosaggi bassi e non patogeni per patologie psichiatriche di minore gravità come la depressione cronica ricorrente (molto comune tra gli utilizzatori di antidepressvi), il temperamento ciclotimico (lieve bipolarità costituzionale), il temperamento ipertimico (lieve maniacalità costituzionale), prevenzione e stabilizzazione del decadimento cognitivo.
Il litio  ha cominciato la sua carriera alla fine degli anni ’40 del 1900, epoca in cui esistevano ancora i manicomi e venivano curate solo le malattie mentali gravi mentre quelle lievi non venivano nemmeno prese in considerazione: la prima somministrazione di Litio infatti venne fatta dallo psichiatra australiano John Cade su pazienti maniacali ricoverati in manicomio. Da allora (e fin quasi ai giorni nostri) il litio è stato dunque utilizzato solo nelle forme più gravi di disturbo bipolare, di depressione e di mania e sempre a dosaggio mediamente utile per tali gravi patologie (litiemia tra 0,6 e 1.0 mmol/L di sangue), dose pericolosamente vicina alla tossicità. Lo stereotipo ancora rimasto è: sì al litio per i gravi disturbi dell’umore ma, essendo molto tossico, va fatto un bilancio tra i vantaggi per la mente e i danni per il corpo.

Quali danni per il corpo? Se si supera la concentrazione nel sangue di 1,0 mmol/L la tossicità è immediata soprattutto a danno dei reni mentre se anche mantieni un dosaggio interno al range, comunque rischi di andare incontro negli anni ad un danno cumulativo a reni e tiroide.
Oggi non è più così, la convinzione che il litio funzioni solo all’interno del range standard e quindi vada riservato alle gravi patologie non è più un’assioma: a bassi dosaggi atossici il litio stabilizza le forme lievi di oscillazione dell’umore, rinforza la terapia antidepressiva, previene il suicidio e la demenza.

Per quanto riguarda la depressione va osservato che il litio non è solo un farmaco sintomatico ma è curativo: mentre cioè i comuni antidepressivi agiscono solo innalzando il livello di uno o due neurotrasmettitori il che provoca presto abitudine e perdita di efficacia, il litio agisce in senso antidepressivo su molti bersagli molecolari del neurone trasformando gradualmente ma profondamente la micro-anatomia del cervello e dando una condizione di benessere simile a quella naturale. La mancata assuefazione al suo effetto e la sua capcità di prevenire o arrestare la demenza fanno pensare ad una azione antidepressiva secondaria al miglioramento della salute globale del cervello. Continua a leggere

Prolattina alta: che fare?

La prolattina è un ormone prodotto dall’ipofisi che ha la funzione principale di stimolare la produzione di latte nella donna durante l’allattamento. Anche l’uomo tuttavia produce una piccola dose di prolattina il cui significato è poco noto. Sia nella donna che nell’uomo, l’eccesso costante di prolattina è dannoso perché provoca una diminuita produzione di FSH ed LH, due ormoni ipofisari che stimolano le gonadi a produrre testosterone nell’uomo ed estrogeni nella donna.

Come conseguenza diretta di un eccesso di prolattina sulle ghiandole mammarie, in entrambe i sessi vi è ingrossamento delle mammelle fino ad arrivare talvolta alla secrezione spontanea di latte dai capezzoli (galattorrea); indirettamente poi, a causa del calo degli ormoni sessuali, la prolattina in eccesso provoca in entrambe i sessi ridotto desiderio sessuale, ridotta fertilità e osteoporosi.

Importante notare comunque che la gravità dei sintomi non è proporzionale al livello di prolattina perché ci sono individui che pur avendone alti livelli son privi di sintomi mentre altri, con una prolattina appena sopra la norma, hanno già inturgidimento delle ghiandole mammarie (nel maschio chiamata ginecomastia), disturbi sessuali e calo della fertilità.

Più nello specifico, poco testosterone nell’uomo significa perdita di interesse per il sesso, umore basso e scarsa energia; pochi estrogeni nella donna provocano atrofia e secchezza della mucosa uretrale e vaginale, dolore durante il coito, vampate di calore, irregolarità mestruali, acne e moderato irsutismo.

Venendo alle cause di iperprolattinemia, dobbiamo ovviamente ricordare le malattie dell’ipotalamo e dell’ipofisi nonché l’ipotiroidismo e l’uso di levodopa nei pazienti parkinsoniani; ma di gran lunga più comune è l’iperprolattinemia da psicofarmaci.

Gli psicofarmaci che provocano più facilmente e fortemente iperprolattinemia sono gli antipsicotici (aloperidolo, perfenazina, quetiapina, risperidone, amisulpride) perché inibiscono la liberazione di dopamina anche a livello ipotalamico, dopamina che ha una funzione inibitoria sulla secrezione ipofisaria di prolattina. Togliendo quindi il freno dopaminergico, la prolattina verrà rilsciata in abbondanza in circolo. Anche gli antidepressivi, sia pur raramente e in misura molto minore, possono provocare iperprolattinemia ed in particolare Clomipramina (ad alte dosi però!). Continua a leggere