Psicofarmaci

Paroxetina, un potente antidepressivo

Paroxetina è una molecola antidepressiva con una potente azione serotoninergica, paragonabile solo a quella della clomipramina (Anafranil). Possiede inoltre deboli azioni noradrenergica e anti-colinergica: quest’ultima tuttavia è debole ma non trascurabile se il paziente è particolarmente sensibile alla stipsi, alla ritenzione urinaria o ha problemi di ipertensione dell’occhio oppure è anziano e con funzione cognitiva in declino (gli anticolinergici peggiorano le prestazioni cognitive). Certamente è un antidepressivo efficace ma ha diversi effetti collaterali in comune con gli altri inibitori della ricaptazione però accentuati, forse per la sua peculiare potenza serotoninergica. Ad esempio, paroxetina dà molto frequentemente disturbi sessuali in entrambe i sessi, nel maschio soprattutto orgasmo ritardato, diminuzione del desiderio e scarsa erezione, nella donna calo del desiderio, scarsa lubrificazione e disturbi dell’orgasmo. A questo proposito, c’è una curiosità: Paroxetina è in grado di stimolare i recettori per gli estrogeni e di innalzare pertanto la prolattina (cose non positive per i maschi ma nemmeno per le donne con tendenza al tumore della mammella ormone-sensibile); paroxetina ha inoltre nei maschi un’azione inibitoria particolarmente accentuata sulla produzione locale di ossido nitrico (NO), piccola molecola vasodilatatrice essenziale all’erezione, la cui produzione viene invece incrementata da Viagra e simili.

Ancora, paroxetina dovrebbe essere vietata in gravidanza perché compromette la corretta formazione degli organi del nascituro, in particolare cuore e cervello: a parte i difetti cardiaci, paroxetina sembra essere implicata in alcuni casi di neuro-tossicità che portano ad anomalie del neuro-sviluppo e di conseguenza a patologie neuropsichiatriche come autismo, ADHD, schizofrenia e altro; è stato visto infatti di recente utilizzando parti di cervello create in laboratorio (organoidi) (3) che paroxetina assunta da una madre in gravidanza compromette particolarmente la mielinizzazione degli assoni e la formazione dei collegamenti tra i neuroni (sinaptogenesi) cose essenziali per una corretta maturazione fetale del cervello. Ancora, il metabolismo di paroxetina impegna e rende quindi meno efficienti gli enzimi epatici preposti alla degradazione di alcuni farmaci oltre che dei cancerogeni; ad esempio è vietata l’assunzione contemporanea di paroxetina e Tamoxifene (si usa questo per evitare le recidive di cancro della mammella) perché paroxetina rallenta l’attivazione metabolica epatica di Tamoxifene rendendo la cura antitumorale poco efficace. Inoltre, la lenta disattivazione di alcuni cancerogeni, l’azione estrogeno-simile e l’innalzamento della prolattinemia sono forse responsabili della maggiore incidenza di cancro della mammella (6 volte più frequente) notata nelle donne che assumano paroxetina da più di 4 anni; alle donne poi che abbiano in famiglia casi di tale neoplasia, paroxetina non deve essere prescritta. A questo proposito, troverete recenti articoli scritti da oncologi, chimici e biologi molecolari (1) in cui si esalta la teorica proprietà antitumorale di paroxetina; tali studi sono sicuramente molto interessanti ma non possono rovesciare la realtà clinica che, all’opposto, parla di aumentata incidenza di cancro della mammella con paroxetina, come sopra riferito. (2)

Altre peculiarità di paroxetina sono la sua affinità per i recettori degli oppioidi, la grande difficoltà di interromperne l’uso, l’aumentata incidenza di ipertensione gravidica, la tendenza a far ingrassare e a dare piattezza affettiva e demotivazione. Ancora, negli adolescenti, può aumentare l’aggressività, portare acatisia o aumentare la probabilità di suicidio (quello dei possibili danni agli adolescenti, è stato motivo di una pesante condanna per la casa produttrice che sapeva ma ha insabbiato i risultati). Ancora, paroxetina, oltre alla fertilità femminile abbassa anche quella maschile danneggiando il DNA degli spermatozoi e diminuendone la motilità (anche la compromissione dell’attività sessuale gioca la sua parte). Molti degli effetti collaterali su riferiti sono posseduti da tutti gli SSRI ma per paroxetina sono particolarmente intensi. In comune con gli altri SSRI ricordiamo anche il maggior rischio di diabete, di sanguinamento soprattutto gastrico, di ipo-sodiemia soprattutto se in associazione con certi diuretici e la maggior incidenza di osteoporosi.

(Molti dei dati su riportati sono tratti dagli articoli:

(1) “Paroxetine—Overview of the Molecular Mechanisms of Action” di Magdalena Kowalska e altri, Int. J. Mol. Sci. 2021

(2) “Paroxetine-The Antidepressant from Hell? Probably Not, But Caution Required” di Robert M Nevels e altri, Psychopharmacol Bull 2016

(3) “Antidepressant Paroxetine Exerts Developmental Neurotoxicity in an iPSC-Derived 3D Human Brain Model” di Xiali Zhong e altri, Front Cell Neurosci. 2020 Feb 21).

A. Mercuri

Venlafaxina: funziona, ma forse c’è di meglio

Venlafaxina è una molecola antidepressiva pubblicizzata come SNRI cioè con doppia azione sia serotoninergica che noradrenergica ma in realtà la sua potenza come noradrenergico è tanto bassa da essere apprezzabile solo al dosaggio di 225 mg/die. In realtà anche come serotoninergico venlafaxina ha un’azione debole, debolissima se confrontata con i potenti clomipramina (Anafranil), paroxetina o sertralina. Si possono escludere altre azioni di rilievo come quella anticolinergica, antiadrenergica e antistaminica e questo se da un lato può essere un vantaggio per i minori effetti collaterali dall’altro rende la molecola meno potente (l’effetto anticolinergico centrale rinforza l’effetto antidepressivo delle molecole, vedi Anafranil) e meno versatile perché non dotata di effetti ansiolitico e ipnotico-sedativo. Inoltre l’effetto serotoninergico puro di venlafaxina potrebbe spiegare la sua, almeno iniziale, azione irritante sull’apparato digerente (soprattutto nausea) dove la serotonina gioca un ruolo eccitatorio.

Dobbiamo ricordare il 75% circa di venlafaxina viene metabolizzata dal fegato a desvenlafaxina (di cui ora si è fatto un farmaco, il Faxilex) che ha un’azione antidepressiva teorica più marcata della molecola madre essendo 2 volte circa più potente  come serotoninergico e 4 volte più potente come noradrenergico ma tuttavia restando un antidepressivo debole confrontato con altre molecole note (paroxetina, duloxetina, clomipramina, sertralina).

Ancora, un aspetto negativo di venlafaxina è la sua brevissima emivita; questo problema è stato ovviato tempo fa creandone la formulazione a rilascio prolungato da 37,5 o da 75 mg. Tali capsule o compresse però hanno lo svantaggio di non poter essere divise (pena la perdita dell’effetto a lento rilascio) il che rende difficoltoso sia l’inizio che la fine graduale della terapia. Esiste comunque una formulazione liquida di venlafaxina denominata Zaredrop con la quale si può iniziare e terminare la terapia con gradualità ma il problema è che non essendo a rilascio prolungato, va assunta almeno in 2 volte al giorno e comunque tra una dose e l’altra possono comparire sintomi di astinenza.

A. Mercuri

Faxilex, un nuovo antidepressivo che c’era già

Faxilex (desvenlafaxina) è un antidepressivo a doppia azione (serotoninergica e noradrenergica) messo assai recentemente sul mercato (2022): si può dunque dire che sia l’ultimo nato, almeno in Italia, essendo stato il precedente, Brintellix, immesso nel 2014. Desvenlafaxina, è un prodotto di degradazione epatica della più nota e antica venlafaxina ( Efexor, Zarelis, ecc.), in gergo si dice che ne è un metabolita, che è stato estratto e trasformato esso stesso in farmaco. In realtà, di potrebbe dire che desvenlafaxina è il cuore, la parte migliore della venlafaxina poichè ha un effetto serotoninergico di potenza doppia e noradrenergica di potenza quadrupla rispetto al genitore venlafaxina. Infatti il dosaggio sufficiente ad esplicare effetto antidepressivo sembra essere più basso (vengono consigliati 50 mg/die mentre di venlafaxina solitamente se ne usano 75-150 mg). Il vantaggio di assumere questo farmaco piuttosto del progenitore dunque ci sarebbe, perchè più potente e soprattutto più ben bilanciato tra effetto serotoninergico ed effetto noradrenergico; tuttavia ci sono alcuni svantaggi: 1) Sembra essere meno efficace del progenitore 2) Non c’è la formulazione liquida quindi quando cominci devi farlo con 50 mg e quando lo sospendi sei costretto a fare un salto da 50 a 0 di colpo o ad ingegnarti con assunzioni sempre più distanziate perchè la compressa è a rilascio prolungato e non deve essere divisa (di venlafaxina invece esiste la formulazione liquida che si chiama Zaredrop). Io noto come le prescrizioni di Faxilex stiano progressivamente aumentando mentre quelle del precedente Brintellix stiano diminuendo ma non mi sembra che Desvelafaxina possa dirsi un antidepressivo innovativo poichè va ricordato che chi assume venlafaxina assume già desvelafaxina che ne è un prodotto di degradazione: il 70% di venlafaxina infatti viene convertito nel nostro organismo in desvenlafaxina. Dove sta dunque la novità? E che senso ha proporre questo antidepressivo come “nuovo” dal momento che nuovo non lo è per nulla?

Angelo Mercuri

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