Psicofarmaci

Modafinil (Provigil): un aiuto nelle depressioni apatiche

Modafinil e’ venduto in Italia col nome commerciale di Provigil e indicazione ufficiale limitata alla narcolessia, una condizione che provoca  eccessiva sonnolenza diurna con colpi di sonno improvvisi.

Accanto alle indicazioni ufficiali vi è però un utilizzo diffuso anche per tutte quelle condizioni in cui sia necessario stare forzatamente svegli (turnisti, militari, chirurghi, camionisti, piloti d’aereo) e di aumentare la vigilanza e l’attenzione [deficit d’attenzione del bambino e dell’adulto (ADHD)]; oppure nelle depressioni in cui sia presente stanchezza e sonnolenza.  Ancora, Modafinil può aiutare a superare l’astinenza da cocaina o agire come antiepilettico.

Nonostante non vi sia ancora piena chiarezza sul suo meccanismo d’azione, sembra che Modafinil agisca come debole dopaminergico puro prevalentemente a livello ipotalamico producendo quindi un aumento di vigilanza, attenzione, concentrazione e capacitò di apprendimento, un pò come il caffè; come questo poi, agisce sia pur debolmente, anche sul centro del piacere del cervello, il Nucleus Accumbens, quindi un certo benessere psichico sicuramente lo dà, tant’è che in Russia, ad esempio, è stato incluso (certamente esagerando) tra gli stupefacenti accanto a morfina e cocaina.

Modanafil è una molecola creata dai francesi negli anni ‘70 per contrastare la narcolessia ma è stata messa in vendita molto tempo dopo, nel ’94; da allora, la sua vendita in tutto il mondo è cresciuta in modo esponenziale perché essa ha le proprietà stimolanti delle amfetamine ma non i loro pericolosi effetti collaterali di dipendenza e astinenza. Modanafil infatti può essere sospeso anche bruscamente senza avere fenomeni di astinenza o rimbalzo del sonno; ancora, sembra non dare  tolleranza tant’è che in uno studio è risultata efficace allo stesso dosaggio per 3 anni consecutivi negli adulti e per 10 nei bambini-adolescenti. Continua a leggere

Antidepressivi: Quando e Come usarli

Gentili utenti, pubblico qui la traduzione dall’inglese dei paragrafi più interessanti del fondamentale articolo sull’uso razionale degli antidepressivi scritto  dallo psichiatra-psicoterapeuta italiano ma di fama mondiale, Giovanni Fava. Se potete, leggete direttamente l’articolo originale in inglese ( PDF dell’articolo originale); se no, leggetene la traduzione che, data l’importanza dell’argomento, ho fatto per facilitarvene la lettura. In marroncino e tra parentesi ci sono miei commenti e chiarimenti. 

Rational Use of Antidepressant Drugs 

Giovanni A. Fava (Affective Disorders Program, Department of Psychology, University of Bologna,  Department of Psychiatry, State University of New York at Buffalo N.Y. , USA). Psychother. Psychosom. (2014)

1) Tolleranza e sue differenti espressioni
Molti fenomeni clinici son stati documentati durante il trattamento con antidepressivi a) perdita di efficacia antidepressiva, b) tachifilassi, c) resistenza, d) effetti paradossi, e) passaggio verso una forma bipolare e f) reazioni da sospensione.

a) Perdita di efficacia

La prevalenza (percentuale) di un ritorno di sintomi depressivi durante il trattamento con farmaci antidepressivi era del 9-57% nelle ricerche pubblicate indicando l’esistenza di fenomeni di tolleranza durante il trattamento (la tolleranza ad una data sostanza è una sorta di abitudine che porta alla perdita di efficacia del trattamento pur rimanendo le dosi di farmaco invariate; la percentuale varia dal 9 al 57% e questo disorienta ma il motivo è che più aumenta il tempo di osservazione, più alta diventa la percentuale di pazienti che ricadono. Se si guarda cioè quanti ricadono nella depressione dopo solo 6 mesi di trattamento, forse si trova un 5% ma se ci fossero studi –  non ci sono perchè non conviene farli – che guardassero quanti ricadono dopo 5 anni, probabilmente si troverebbe una percentuale del 95%). Questa (la percentuale di ricadute) aumenta con la durata del trattamento; in una meta-analisi riguardante studi di mantenimento, questo rischio di ricaduta progressivamente aumentava dal 23% entro 1 anno, al 34% entro 2 anni fino al 45% entro 3 anni. (pensate dunque che già dopo 3 anni un antidepressivo non funziona più nella metà dei casi!). Il termine “tachifilassi” (la progressiva decrescita nella risposta ad una data dose dopo la ripetuta somministrazione di una sostanza fisiologicamente o farmacologicamente attiva) è stato anche usato per designare la ricaduta durante il trattamento di mantenimento o il deterioramento clinico caratterizzato da sintomi come apatia e astenia. (in ambito divulgativo, si può assumere che  tachifilassi e tolleranza siano sinonimi). Continua a leggere

Antidepressivi, i primi difficili giorni

Quando si comincia una terapia con antidepressivi, non solo l’effetto positivo sull’ansia e sull’umore comincia in ritardo, dopo 15-30 giorni, ma addirittura per i primi 7-15 si può stare un po’ peggio e questo ovviamente è un problema per il paziente e per il medico. Non è infatti molto rassicurante che un paziente già con l’acqua alla gola peggiori ancora, fosse anche solo per pochi giorni. Ma stare peggio cosa significa?

Significa che la persona che comincia l’assunzione di un antidepressivo generalmente può avvertire un peggioramento dell’umore e un aumento dell’ ansia, dell’irrequietezza e dell’insonnia.
All’aspetto emotivo, si aggiunge spesso (molto meno comune coi vecchi triciclici) un certo disagio gastrointestinale sotto forma di nausea e/o diarrea, inappetenza. Ma perché avviene tutto questo?
Con certezza ancora non si sa, ma sembra che il motivo sia legato in parte al brusco aumento di serotonina nell’organismo che va a stimolare sgradevolmente sia l’apparato digerente (e in particolare i suoi recettori per la serotonina denominati 5HT-3) che il cervello e di questo in particolare i recettori della serotonina denominati 5HT-2C la cui stimolazione provoca anche sperimentalmente, ansia. Continua a leggere

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