Maprotilina (Ludiomil), un potente antidepressivo noradrenergico

Maprotilina (Ludiomil) è un farmaco antidepressivo con una molecola e un profilo farmacologico simile a quello dei triciclici (Amitriptilina, Clomipramina, Nortriptilina e Trimipramina) anche se chimicamente è un tetraciclico, come la moderna mirtazapina; in vendita dal lontano 1974, è tuttora in uso per a sua provata efficacia.

Le sue peculiarità, sono (vedi Tabella fondo pagina):

  1. Potente effetto noradrenergico, aumenta cioè fortemente la concentrazione sinaptica di noradrenalina quindi è un antidepressivo stimolante adatto alle depressioni apatiche con sonnolenza e astenia;
  2. Scarsissima azione serotoninergica il che forse toglie qualcosa all’azione antidepressiva ma per contro: a) dà pochi disturbi sessuali; b) non altera l’aggregazione piastrinica e quindi non vi è rischio aumentato di sanguinamento c) non dà apatia, al contrario è stimolante di iniziativa e motivazione.
  3. Ha scarso effetto sulla prolattina
  4. Ha una potente azione antistaminica anti-H1 che dura tuttavia solo 2-3 settimane, poi degrada per lasciare il posto ad un’azione stimolante. Soprattutto nei primi 15-20 giorni quindi, dà sonnolenza se assunto di giorno mentre migliora sonno, ansia ed irrequietezza se assunto la sera.
  5. Ha azione anticolinergica anti-muscarinica assai debole quindi non dà fastidiosi sintomi di bocca secca, tachicardia e stitichezza; ancora, incide meno sul flusso urinario, sulla pressione oculare e sulle prestazioni cognitive.
  6. Ha un effetto anti-adrenergico anti-alfa 1 molto blando quindi non provoca congestione nasale, ipotensione ortostatica e sedazione.
  7. Ha un’emivita lunghissima, 51 ore, pertanto i livelli plasmatici rimangono pressochè costanti tra una dose e l’altra.

Continua a leggere

Modafinil (Provigil): un aiuto nelle depressioni apatiche

Modafinil e’ venduto in Italia col nome commerciale di Provigil e indicazione ufficiale limitata alla narcolessia, una condizione che provoca  eccessiva sonnolenza diurna con colpi di sonno improvvisi.

Accanto alle indicazioni ufficiali vi è però un utilizzo diffuso anche per tutte quelle condizioni in cui sia necessario stare forzatamente svegli (turnisti, militari, chirurghi, camionisti, piloti d’aereo) e di aumentare la vigilanza e l’attenzione [deficit d’attenzione del bambino e dell’adulto (ADHD)]; oppure nelle depressioni in cui sia presente stanchezza e sonnolenza.  Ancora, Modafinil può aiutare a superare l’astinenza da cocaina o agire come antiepilettico.

Nonostante non vi sia ancora piena chiarezza sul suo meccanismo d’azione, sembra che Modafinil agisca come debole dopaminergico puro prevalentemente a livello ipotalamico producendo quindi un aumento di vigilanza, attenzione, concentrazione e capacitò di apprendimento, un pò come il caffè; come questo poi, agisce sia pur debolmente, anche sul centro del piacere del cervello, il Nucleus Accumbens, quindi un certo benessere psichico sicuramente lo dà, tant’è che in Russia, ad esempio, è stato incluso (certamente esagerando) tra gli stupefacenti accanto a morfina e cocaina.

Modanafil è una molecola creata dai francesi negli anni ‘70 per contrastare la narcolessia ma è stata messa in vendita molto tempo dopo, nel ’94; da allora, la sua vendita in tutto il mondo è cresciuta in modo esponenziale perché essa ha le proprietà stimolanti delle amfetamine ma non i loro pericolosi effetti collaterali di dipendenza e astinenza. Modanafil infatti può essere sospeso anche bruscamente senza avere fenomeni di astinenza o rimbalzo del sonno; ancora, sembra non dare  tolleranza tant’è che in uno studio è risultata efficace allo stesso dosaggio per 3 anni consecutivi negli adulti e per 10 nei bambini-adolescenti. Continua a leggere

Depressione: dall’Infiammazione alla Neuro-infiammazione

Vi sono cellule chiamate macrofagi, monociti e cellule dendritiche che circolano continuamente nel nostro organismo e sono in grado di captare la presenza di un danno tissutale (meccanico, tumorale, infettivo) oppure la presenza di microbi pericolosi da eliminare e in risposta a queste evenienze, tali cellule producono sostanze che amplificano, prolungano e specializzano la risposta immunitaria, chiamate “citochine pro-infiammatorie” [le principali: fattore di necrosi tumorale Alfa (TNF-α), interleuchina 6 (IL-6) e interleuchina 1 (IL-1)].  Le citochine allertano anche i linfociti T e B (i B sono i produttori dei famosi anticorpi) per far fronte all’eventualità che il danno tessutale sia provocato da una ben precisa sostanza, cellula o microbo contro i quali i linfociti sono in grado di agire con armi più precise ed efficienti.

Per quanto riguarda la risposta al danno tissutale primitiva e aspecifica chiamata infiammazione, le citochine compiono diverse azioni tese a difendere e riparare i tessuti attaccati:

  1. Provocano vasodilatazione e quindi arrossamento ed edema nel luogo del danno o dell’infezione
  2. Provocano dolore per mettere a riposo la zona interessata e far si che su di essa venga concentrata l’attenzione
  3. Danno talvolta febbre per accelerare i processi di riparazione e guarigione
  4. informano il cervello che il corpo è danneggiato e pertanto ha bisogno di riparo e riposo per guarire.

Le citochine inoltre inducono alcune cellule specializzate a produrre altre sostanze che proseguono, amplificano e rendono più specifica la difesa dell’organismo, tra cui:

  • prostaglandine pro-infiammatorie [attraverso la stimolazione dell’enzima ciclo-ossigenasi tipo 2 (COX2)]
  • proteina C reattiva (PCR)

Non ho menzionato a caso, Continua a leggere

Vaccinazione anti-Covid

Molte persone, dopo la vaccinazione anti-Covid, riferiscono disturbi neuro-psichiatrici come insonnia, ansia e depressione. Probabilmente c’è una componente psicologica dovuta al fatto che prima della vaccinazione tali persone temevano che la sostanza iniettata facesse loro male e quindi l’aspettativa negativa si è trasformata in disturbo reale; questo con l’aggravante che molti sono stati vaccinati a forza, pena la perdita della libertà o del lavoro e quindi a maggior ragione, ciò che è stato loro inoculato ha prodotto effetti psicologici negativi aggiuntivi, come chi riceva uno schiaffo senza potersi ribellare. Oltre agli aspetti psicologici su menzionati però vi è con molta probabilità una componente organica proprio nella reazione immunitaria dell’organismo al vaccino la quale risposta comporta un temporaneo stato infiammatorio con liberazione di citochine e conseguente neuro-infiammazione.

Neuro-infiammazione & Depressione

A tutti è capitato di sentirsi stranamente giù prima o durante un semplice raffreddore, influenza, Covid o anche vaccinazione anti-Covid in un modo diverso dal solito, dove mancano le forze e la voglia di fare. Si starebbe volentieri solo a letto a dormicchiare oppure, dipende dal temperamento, ad alcuni contemporaneamente alla discesa dell’umore, sale molto l’ansia e l’irrequietezza.

Tale depressione dell’umore è tipicamente collegata allo stato infiammatorio in atto nel corpo e in particolare a sostanze in circolo che sono chiamate citochine (principalmente interleuchina 1, interleuchina 6 e TNF Alfa); tali citochine, partendo dal corpo raggiungono il cervello (neuro-infiammazione) nel quale provocano modificazioni biochimiche volte a mettere l’individuo colpito da infezione a riposo, per guarire: calo dei neurotrasmettitori serotonina, dopamina e noradrenalina con conseguente stanchezza, perdita di interessi e sonnolenza. Tale condizione accompagna anche malattie più persistenti di un’influenza come le malattie autoimmuni (sclerosi multipla, morbo di Chron, colite ulcerosa, psoriasi, artrite reumatoide, tiroidite di Haschimoto, ecc.) oppure altre infiammazioni o infezioni.

Qualcuno allora ha pensato: non è che abbiamo trovato la causa della depressione? E’ forse la depressione, dovuta ad un processo infiammatorio in atto, magari leggero e di cui non si è consapevoli? Ovviamente si è proceduto a valutare i livelli di citochine pro-infiammatorie in ogni depresso ma si è visto che solo alcuni le avevano alte quindi si è concluso che la causa della depressione non è sempre un processo infiammatorio sottostante. Però si è arrivati a considerazioni interessanti e cioè: Continua a leggere

Utilità biologica & Utilità sociale

La Natura non consente agli esseri umani di vivere con gioia pensando solo al benessere personale ma da essi pretende un contributo alla salvaguardia e alla prosecuzione della specie cui appartengono; tale contributo, prevede la procreazione di nuovi individui (altruismo biologico) e/o la partecipazione al buon funzionamento della comunità di cui si fa parte (altruismo sociale).

Questo va tenuto ben presente quando si è giovani e alle volte sembra che i figli siano un impiccio; viviamo in una societa’ edonistica, orientata al soddisfacimento immediato dei bisogni personali, con principi morali sempre più annacquati: in tale contesto, i figli possono essere sentiti come una fatica, come un impedimento alla gioia, una zavorra dispendiosa che costringe a sacrificare molti desideri personali oltre a rovinare un po’ la silhouette della donna e il sonno di entrambi.

La sensazione che senza prole si viva in modo più agiato è uno dei tanti inganni delle società opulente che paradossalmente fanno meno figli delle comunita’ povere pur avendo maggiori mezzi economici per mantenerli. Tuttavia, molte coppie poi si pentono di non aver procreato quando potevano e purtroppo se ne accorgono quando ormai di figli non possono più averne.  La noia di vivere, la tristezza e la sensazione che la vita non abbia più senso sono sentimenti che possono comparire con l’avanzare dell’età e accompagnano i risvegli di molte persone senza figli: la necessità di procreare è profondamente radicata nei nostri geni perché è l’elemento su cui si basa la prosecuzione della vita sulla terra e quindi la procreazione è protetta da potenti automatismi psicologici che ci invogliano ma anche ci costringono al suo espletamento pena un senso di incompletezza e inutilità. I figli prima e i nipoti poi, danno un senso profondo sia all’individuo che alla coppia perché nei piani della Natura, costituiscono il principale scopo della prolungata convivenza tra uomo e donna, un cardine su cui può ruotare per decenni l’interesse reciproco di due persone conviventi che trovano continuamente nel mantenimento e nell’educazione della prole un senso di necessità al vivere comune. Continua a leggere

Antidepressivi: Quando e Come usarli

Gentili utenti, pubblico qui la traduzione dall’inglese dei paragrafi più interessanti del fondamentale articolo sull’uso razionale degli antidepressivi scritto  dallo psichiatra-psicoterapeuta italiano ma di fama mondiale, Giovanni Fava. Se potete, leggete direttamente l’articolo originale in inglese ( PDF dell’articolo originale); se no, leggetene la traduzione che, data l’importanza dell’argomento, ho fatto per facilitarvene la lettura. In marroncino e tra parentesi ci sono miei commenti e chiarimenti. 

Rational Use of Antidepressant Drugs 

Giovanni A. Fava (Affective Disorders Program, Department of Psychology, University of Bologna,  Department of Psychiatry, State University of New York at Buffalo N.Y. , USA). Psychother. Psychosom. (2014)

1) Tolleranza e sue differenti espressioni
Molti fenomeni clinici son stati documentati durante il trattamento con antidepressivi a) perdita di efficacia antidepressiva, b) tachifilassi, c) resistenza, d) effetti paradossi, e) passaggio verso una forma bipolare e f) reazioni da sospensione.

a) Perdita di efficacia

La prevalenza (percentuale) di un ritorno di sintomi depressivi durante il trattamento con farmaci antidepressivi era del 9-57% nelle ricerche pubblicate indicando l’esistenza di fenomeni di tolleranza durante il trattamento (la tolleranza ad una data sostanza è una sorta di abitudine che porta alla perdita di efficacia del trattamento pur rimanendo le dosi di farmaco invariate; la percentuale varia dal 9 al 57% e questo disorienta ma il motivo è che più aumenta il tempo di osservazione, più alta diventa la percentuale di pazienti che ricadono. Se si guarda cioè quanti ricadono nella depressione dopo solo 6 mesi di trattamento, forse si trova un 5% ma se ci fossero studi –  non ci sono perchè non conviene farli – che guardassero quanti ricadono dopo 5 anni, probabilmente si troverebbe una percentuale del 95%). Questa (la percentuale di ricadute) aumenta con la durata del trattamento; in una meta-analisi riguardante studi di mantenimento, questo rischio di ricaduta progressivamente aumentava dal 23% entro 1 anno, al 34% entro 2 anni fino al 45% entro 3 anni. (pensate dunque che già dopo 3 anni un antidepressivo non funziona più nella metà dei casi!). Il termine “tachifilassi” (la progressiva decrescita nella risposta ad una data dose dopo la ripetuta somministrazione di una sostanza fisiologicamente o farmacologicamente attiva) è stato anche usato per designare la ricaduta durante il trattamento di mantenimento o il deterioramento clinico caratterizzato da sintomi come apatia e astenia. (in ambito divulgativo, si può assumere che  tachifilassi e tolleranza siano sinonimi). Continua a leggere

Antidepressivi, i primi difficili giorni

Quando si comincia una terapia con antidepressivi, non solo l’effetto positivo sull’ansia e sull’umore comincia in ritardo, dopo 15-30 giorni, ma addirittura per i primi 7-15 si può stare un po’ peggio e questo ovviamente è un problema per il paziente e per il medico. Non è infatti molto rassicurante che un paziente già con l’acqua alla gola peggiori ancora, fosse anche solo per pochi giorni. Ma stare peggio cosa significa?

Significa che la persona che comincia l’assunzione di un antidepressivo generalmente può avvertire un peggioramento dell’umore e un aumento dell’ ansia, dell’irrequietezza e dell’insonnia.
All’aspetto emotivo, si aggiunge spesso (molto meno comune coi vecchi triciclici) un certo disagio gastrointestinale sotto forma di nausea e/o diarrea, inappetenza. Ma perché avviene tutto questo?
Con certezza ancora non si sa, ma sembra che il motivo sia legato in parte al brusco aumento di serotonina nell’organismo che va a stimolare sgradevolmente sia l’apparato digerente (e in particolare i suoi recettori per la serotonina denominati 5HT-3) che il cervello e di questo in particolare i recettori della serotonina denominati 5HT-2C la cui stimolazione provoca anche sperimentalmente, ansia. Continua a leggere

Abilify (Aripiprazolo)

E’ un farmaco prevalentemente utilizzato nelle psicosi cioè in quelle gravi malattie mentali caratterizzate da una interpretazione anomala della realtà circostante e/o delle intenzioni ed emozioni altrui. La psicosi si manifesta dunque con delirio, allucinazioni, pensiero complicato o eccessivamente rigoroso e con conseguenti bizzarrie comportamentali.

Tra le psicosi, la forma più grave è quella schizofrenica in cui vi è la compresenza di una sintomatologia cosiddetta “negativa” (caratterizzata da astenia, abulia, anedonia, apatia, eloquio povero) e di una sintomatologia positiva (caratterizzata da delirio, allucinazioni, eloquio incoerente e inconcludente). I sintomi negativi sono espressione di una ipofunzione dopaminergica della corteccia prefrontale mentre quelli positivi sembrano essere conseguenza di una iperfunzione dopaminergica del sistema limbico, una parte del cervello importante per la dimensione emotiva. (vedi anche: Aripiprazolo, un farmaco efficace e multiuso)

I comuni farmaci antipsicotici, soprattutto quelli tradizionali come aloperidolo, perfenazina, clorpromazina, promazina, clopentixolo, ecc., rallentano in toto la trasmissione dopaminergica risultando molto efficaci sui sintomi positivi limbici ma aggravando quelli negativi prefrontali e spegnendo quindi si i deliri e le allucinazioni ma al prezzo di far precipitare il paziente in uno stato ancor più grave di apatia e depressione. All’opposto, se somministri un farmaco dopaminergico ad un paziente schizofrenico, lo fai uscire si dal suo torpore emotivo e affettivo ma gli provochi anche  una pericolosa esacerbazione dei Continua a leggere

Amisulpiride, un antidepressivo atipico

Amisulpiride ( vedi anche mio articolo precedente “Antidepressivo rapido: Deniban” ) è un farmaco che ha come azione prevalente il blocco dei recettori per la dopamina denominati D2 e D3 come molti antipsicotici, solo che Amisulpiride ha difficoltà a passare la barriera ematoencefalica e quindi come anti-dopaminergico centrale è “leggero”; è utile per trattare tre condizioni: nausea, depressione e psicosi. E’ un analogo più potente delle precedenti Sulpiride e Levosulpiride.
Essa ha una caratteristica importante quanto strana: a basso dosaggio funziona da piacevole stimolante (fino a 50 mg) mentre, come aumenti anche di poco il dosaggio, ti accorgi che subentra un effetto opposto, spesso sgradevole, di sonnolenza e stordimento. Perchè questo?
Brevemente, il neurone dopaminergico ha sia recettori per la dopamina presinaptici (si chiamano autorecettori e il loro blocco provoca liberazione di dopamina quindi euforia e voglia di fare) che recettori per la dopamina postsinaptici il cui blocco provoca sedazione, svogliatezza e stordimento. Siccome i recettori presinaptici sono più sensibili all’amisulpiride di quelli postsinaptici, un basso dosaggio di questa provoca prevalentemente un effetto stimolante; aumentando il dosaggio, la stimolazione presinaptica eccitatoria arriva rapidamente ad un massimo e non procede oltre mentre cresce progressivamente l’effetto postsinaptico sedativo che diviene via via tanto consistente da soverchiare definitivamente l’effetto stimolante presinaptico rimasto costante. L’effetto stimolante piacevole e rapido (quasi immediato) sembra essere dunque in parte dovuto ad un aumento della dopamina disponibile negli spazi sinaptici ma non solo a quello; infatti amisulpiride è in grado anche di bloccare il recettore per la serotonina 5-HT7, cosa che sembra contribuire in modo molto rilevante alla sua azione antidepressiva; secondo alcuni Autori anzi, Continua a leggere