Infelicità oggi: malattia o giusta ribellione?

Gentili lettori,

qualcuno potrebbe avere l’impressione che io critichi sia il modello di cura con gli psicofarmaci che quello alternativo o complementare della psicoterapia, lasciando pertanto i pazienti senza via d’uscita dai loro disturbi. Ma non è così.

Io non escludo a priori i farmaci per lenire i disturbi mentali anzi, spesso sono io stesso che li prescrivo; quello che sostengo è solo questo: prima di modificare la chimica del cervello bisogna essere sicuri che la sofferenza emotiva della persona che hai davanti sia effettivamente una disfunzione dell’organo cervello, indipendente da tutto e non sia piuttosto, come oggi capita nella maggior parte dei casi, una giustificata e spesso inconscia ribellione interiore a situazioni esterne modificabili. Perché, se questo è vero, allora bisogna ascoltare ciò che il cervello del paziente sta cercando di dire attraverso l’ansia, la depressione o l’insonnia; se no, ricadiamo nella riduzionistica e pericolosa modalità di cura del sintomo il quale, se è un tentativo del cervello di segnalare un disagio, va ascoltato e non spento: sarebbe come spegnere un fastidioso allarme anti incendio senza aver domato prima l’incendio. Se una persona, come molte oggi, sta vivendo in modo sbagliato e tu gli dai una finta felicità con una pastiglia, lui non cambierà vita; e dopo qualche anno si abituerà al farmaco, la finta felicità sparirà e lui si ritroverà più infelice di prima e per giunta invischiato in costose e squallide terapie psichiatriche.

E questo non vale solo per gli psicofarmaci ma anche per la cosiddetta psicoterapia: prima di considerare ansia, depressione, fobie, insonnia e ossessioni soltanto espressioni di malattia del soggetto, lo psicoterapeuta deve analizzare e casomai correggere alcuni parametri fondamentali del paziente: la sua salute fisica, lo stile di vita, il lavoro, l’ambiente in cui vive. Lo dico sempre: se viene da me per ansia e depressione una persona che lavora in ufficio 8 ore al giorno col neon acceso sulla testa e un computer davanti, immerso in un ambiente urbano senza natura, e tutti i giorni fa questa vita, su e giù dall’ufficio a casa facendo la coda in tangenziale, è malato lui? Lo devo curare coi farmaci? E’ onesto convincerlo che ha una malattia e non sarebbe più onesto invece fargli capire che è il suo stile di vita sbagliato e cercare quindi insieme di modificare le circostanze esterne? E se si ammala uno che fa conti per gli altri tutto il giorno ma sognava di imparare le lingue e viaggiare o sognava di fare il liutaio; e per queste cose aveva passione e talento ma è stato bloccato nella realizzazione dei suoi sogni da eventi esterni: è un malato da curare col Prozac, col Lexotan o con costose e interminabili sedute di psicoterapia? Egli farà ancora più conti per pagarsi lo psichiatra o lo psicoterapeuta convinto di avere una malattia ma non vede che è proprio quel lavoro la causa della sua infelicità: è cosa nota che tra le cause di immensa infelicità vi è anche il non poter mettere a frutto i propri talenti naturali. Allora, basta spendere dallo psichiatra e dallo psicoterapeuta, metti via quei soldi e cambia lavoro!

La depressione e l’ansia vanno spente solo quando sono talmente forti da non consentire più al soggetto reagire; se no, vanno ascoltate: il dolore, l’avvilimento, l’astenia o l’angoscia  non sono sempre espressione di malattia ma possono essere preziosi segnali di un cervello che si rifiuta di andare avanti così

E tra le cause esterne e modificabili di infelicità, non ci sono solo condizioni di vita legate al tipo di lavoro o all’ambiente degradato, vi è anche:

  • la salute fisica, perché le malattie infiammatorie croniche, l’obesità, il diabete, i disturbi della tiroide e tante altre condizioni mediche possono essere direttamente causa di infelicità.
  • la mancanza di attività motoria, perché come dico sempre, l’attività muscolare regolare quotidiana è indispensabile per mantenersi in buon equilibrio psico-emotivo.
  • l’abuso di sostanze ricreative lecite come alcool, caffè e sigarette o meno lecite come le droghe, tra cui vorrei ricordare la Cannabis, che lungi dall’essere una droga leggera è invece tossica per il cervello.
  • Il vivere in contrasto con le proprie inclinazioni naturali
  • Solitudine e mancanza di affetti
  • La mancanza di interessi e d’amore per la conoscenza
  • L’uso scorretto di farmaci e psicofarmaci
  • L’inutilità biologica (mancata procreazione) e/o l’inutilità sociale (egoismo, difficoltà di socializzazione, disoccupazione)
  • Grossi problemi economici

Ho citato tutte queste cause di infelicità per ribadire che:

  1. prima di iniziare una persona agli psicofarmaci bisogna capire se è malato lui o è malato l’ambiente in cui vive
  2. prima di addentrarsi in profonde speculazioni psicologiche, costose, di incerta esistenza e di dubbia utilità si deve indagare le soprastanti cause di infelicità che sono chiare, comprensibili a tutti e modificabili.

E così spiego il perché, prima di dare psicofarmaci o di partire con tecniche di eliminazione dei sintomi, preferisco fare un’anamnesi accurata del paziente.

Un caro saluto,

Angelo Mercuri

(Ho scritto questo articolo recentemente per il quotidiano online “La Voce di Venezia”; se vuoi leggerlo in originale clicca sul sottostante logo della rivista)

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Ma l’infelicità è sempre una malattia?

In uno suoi tanti scritti profetici Konrad Lorenz (1903—1989), famoso etologo e psichiatra, prevedeva già negli anni sessanta del novecento che gli psicofarmaci, immessi sul mercato proprio in quegli anni, sarebbero stati usati da lì in avanti oltre che per pochi casi reali di malattia mentale anche e soprattutto per consentire alla gente di sopravvivere ad un ambiente, uno stile di vita ed un lavoro sempre più artificiali ed alienanti. E così fu.

Oggi la maggior parte dei disagi psico-emotivi non sono risultato di una malattia mentale dell’individuo ma sono semplicemente una normale reazione di rifiuto di mente e corpo ad un ambiente artificiale e ad uno stile di vita frenetico e insano, ormai troppo distanti da quelli tradizionali che sono rimasti pressochè costanti per centinaia di migliaia d’anni e fino all’era preindustriale.

Il nostro cervello, i nostri sentimenti e il nostro corpo infatti si sono plasmati sotto la pressione evolutiva di un ambiente assai diverso da quello attuale: agli albori della storia umana e poi per migliaia di secoli abbiamo vissuto da nomadi nelle foreste dedicandoci alla caccia e alla raccolta di tuberi e radici commestibili; poi sono arrivate agricoltura e allevamento e con essi è cessato il nomadismo ma l’ambiente era ancora bello, lo stile di vita tranquillo. Dall’era industriale in poi invece e si parla quindi dal primo 1800 in avanti, vi è stata una svolta irreversibile verso lavori alienanti, la popolazione mondiale è aumentata in modo esponenziale, l’ambiente è divenuto via via sempre più brutto. Il colpo di grazia poi l’ha dato l’automobile che ha consentito alle nostre belle e accoglienti città di espandersi e divenire mega-agglomerati di condomini in cui si vive uno sopra l’altro litigando con sotto un groviglio di strade rumorose per l’incessante passaggio di automobili ed un finto contentino di natura fatto di alberi radi piantati secondo un progetto.

La velocità con cui ambiente e stile di vita sono cambiati è stata talmente rapida da non consentire ai nostri geni di adattarvisi: a fronte di condizioni di vita totalmente differenti da quelle tradizionali, il nostro DNA è rimasto pressochè lo stesso di centomila anni fa e con esso sono rimasti pressochè invariati i bisogni psicologici e le emozioni. E da questa forzatura, dal continuo bisogno di sacrificare le nostre antiche e immutate istanze naturali, nasce gran parte dell’infelicità umana attuale che è stata ben accolta dall’industria farmaceutica e dalla psichiatria che hanno medicalizzato il problema convincendo gli infelici disadattati che il problema stava in una loro gravissima malattia, mortale se non curata, chiamata ora depressione, ora ipocondria oppure ansia, fobia, ossessività. L’ordine, è che nessuno deve nominare l’ambiente e lo stile di vita alienanti, bisogna dire che non c’entrano, che la disperazione e il disadattamento sono malattie e come tutte le malattie vanno prese in tempo e curate con le medicine.

Ma io dico: una persona lavora in un ufficio 8 ore al giorno con gli occhi fissi ad un computer e un neon acceso sulla testa; poi torna a casa facendo mezz’ora di coda immersa in un ambiente squallido e l’indomani ricomincia. Questa persona si ammala di ansia, depressione, insonnia: è malato lui? O sono malate le sue condizioni di vita?

Prima di cominciare una terapia psicofarmacologica pertanto o anche prima di cominciare ad assumere le comunissime goccine per dormire abbiate sempre in mente questa domanda: “Sono realmente malato io oppure c’è qualche cosa di artificiale e forzato nella mia vita che mi ha lentamente intossicato rendendomi infelice, insonne o inappetente? Interrogatevi su questo prima di farvi inquadrare entro una categoria diagnostica col “Manuale Statistico dei Disturbi Mentali”, manuale molto usato dagli psichiatri americani che fa corrispondere ad ogni gruppo di sintomi una probabile malattia per la quale c’è già pronta una pillola.

Vorrei concludere chiarendo questo:

  • le vere malattie mentali esistono e vanno curate anche coi farmaci ma sono una percentuale minima
  • La maggior parte della sofferenza psico-emotiva di oggi è provocata da un ambiente e da uno stile di vita follemente distanti da quelli tradizionali e non è frutto di un difetto dell’individuo ma di una sua sensibilità e rifiuto per una vita forzata e artificiale in cui mancano i requisiti minimi per poter essere felici.
  • Gli psicofarmaci sono utili ed indispensabili solo nelle vere e gravi malattie mentali ma nel caso di disagi psico-emotivi situazionali vanno evitati perché, lungi dal risolvere un problema che non è malattia, tra stordimento, amnesie e finta felicità impediscono di capire e raggiungere una soluzione al problema stesso, impediscono di capirsi, di conoscersi e di accettarsi potendo quindi diventare, tra dipendenze e astinenze, una fonte reale e prima non presente, di disperazione.

Un caro saluto,

A. Mercuri

 

Olanzapina (Zyprexa*)

Aggiornato il 21 gennaio 2025) Olanzapina è un potente tranquillante che, a dosaggio alto (20-30 mg), è in grado di placare i principali sintomi della follia (psicosi) che sono allucinazioni, deliri, discorsi inconcludenti, agitazione e aggressività; per questo, è classificata tra gli antipsicotici. Viene utilizzata anche nella follia ciclica degli stati di esaltazione maniacale ed è un ottimo stabilizzatore dell’umore per la profilassi delle forme bipolari. Seppur non esplicitamente approvata per altri scopi, Olanzapina viene utilizzata a basso dosaggio (2,5-5 mg) per tutte le forme di disagio psico-emotivo: ansia generalizzata, attacchi di panico, depressione, insonnia, anoressia nervosa, ossessività. Può ancora essere utile  nel dolore cronico grave (cancro) e nella nausea e vomito associati alla chemioterapia.

Il suo effetto in una persona giovane e senza gravi disturbi psichici può essere tuttavia sgradevole anche a dosaggio basso (tipo 2,5 mg) se il farmaco viene assunto durante il giorno perché provoca, soprattutto nei primi giorni di trattamento, sonnolenza, stanchezza, calo di motivazione, di interesse, di entusiasmo; se assunto invece la sera prima di dormire, in alcuni soggetti anche non psicotici, può dare una sensazione di piacevole relax e solitamente è assai efficace sull’insonnia; tuttavia non va dimenticata la sua appartenenza alla categoria degli antipsicotici (detti anche “tranquillanti maggiori”) i quali, se assunti in modo continuativo, calmano sicuramente chiunque ma hanno anche un effetto “frenante” sull’energia psicofisica e sull’umore, cosa non gradevole in chi non sia psicotico o spiacevolmente ipereccitato. L’effetto sul sonno, molto utile in chi ha una grave insonnia resistente ai trattamenti più comuni, è dovuto ad una sommazione di effetti: antistaminico, anticolinergico, antidopaminergico e antiadrenergico.

Olanzapina, più in dettaglio, viene classificata, insieme a Clozapina, Risperidone, Quetiapina e altri, tra gli antipsicotici “atipici” perché fa parte di quel gruppo di antipsicotici più recenti (rispetto ai “tradizionali” Aloperidolo, Cloropromazina, Promazina, Prometazina, Perfenazina ecc.) che non spengono la dimensione cognitiva e l’umore del paziente e danno meno effetti collaterali neurologici (parkinsonismo, acatisia, rigidità, tremore); tali vantaggi sono dovuti alla loro azione antidopaminergica più blanda a livello prefrontale (cognizione e umore) e a livello dei nuclei della base (disturbi neurologici extrapiramidali). Molto utile per mitigare i disturbi neurologici è anche la potente azione antimuscarinica degli Atipici e in particolare di Olanzapina.

(Sull’argomento antipsicotici di nuova generazione leggi il mio articolo “Schizofrenia o Depressione?” in cui spiego il meccanismo d’azione dei nuovi antipsicotici (clozapina, olanzapina, risperidone, quetiapina) e il perchè. a basso dosaggio, possono avere un effetto antidepressivo)

Per contro gli Atipici (e in primis Olanzapina e Clozapina)  hanno la grave pecca di far ingrassare molto (si intenda, in proporzione alla dose, al metabolismo individuale e al livello di attivitò fisica) potendo provocare alla lunga diabete, ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia. L’aumento di peso, di gliecemia, di trigliceridi e colesterolo, sono conseguenza del potente effetto di antagonismo che Olanzapina esercita sui recettori H1 dell’istamina, sui recettori 5-HT2C della serotonina, sui recettori D2 della dopamina e alla sua azione diretta su stomaco, pancreas e tessuto adiposo, dal quale liberano sostanze come Leptina e Grelina che vanno ad agire direttamente sul metabolismo, rallentandolo; dell’iperglicemia è poi responsabile anche il potente effetto di antagonismo che Olanzapina esercita sui recettori M3 dell’acetilcolina, recettori presenti sia nel cervello che nel pancreas e il cui blocco inibisce la secrezione di insulina contribuendo all’iperglicemia. (Su questo argomento e sui rimedi per il sovrappeso da Olanzapina si veda il mio articolo Olanzapina: attenti al peso!)

Qui di seguito vi fornisco il link per accedere alla scheda tecnica completa di Olanzapina, redatta dall’AIFA, ente governativo che in Italia si occupa di farmacovigilanza: https://farmaci.agenziafarmaco.gov.it/aifa/servlet/PdfDownloadServlet?pdfFileName=footer_001561_040089_RCP.pdf&retry=0&sys=m0b1l3

Buona lettura

A. Mercuri

Rosa Damascena come afrodisiaco e antidepressivo

(Aggiornamento del 22 gennaio 2023)

Rosa Damascena è un tipo di rosa che cresce soprattutto in Iran, Turchia e Bulgaria e, oltre che per aspetti medici, viene usata nella profumeria, nella cosmesi e nella industria alimentare.
Si pensa che la distillazione dell’olio sia cominciata in Persia nel settimo secolo dopo cristo e si sia diffusa nelle province dell’Impero ottomano nel 14° secolo. L’Iran fu il principale produttore ed esportatore di olio di rosa fino al 16° secolo. L’estratto di olio di Damascena ha numerose proprietà mediche benefiche: migliora la funzione sessuale, ha effetto antidepressivo, ha attività antimicrobica, protegge i neuroni contro la tossicità della Beta amiloide (la componente piu tossica della malattia di Alzhaimer). Non sono noti con precisione i principi attivi responsabili degli effetti medici di Rosa Damascena ma si sa che l’olio è composto di un gran numero di sostanze organiche volatili che includono vari terpeni come citronella, acido eicosenoico, disilossano, quercetina e kaempferolo.
Gli studi recenti sembrano confermare le proprietà mediche di Rosa Damascena già individuate dagli antichi.
Per quanto riguarda il suo effetto afrodisiaco, ci sono due importanti studi che hanno stabilito la sua efficacia nel mitigare i disturbi sessuali legati all’utilizzo degli antidepressivi serotoninergici, sia nei maschi che nelle femmine. (Vedi anche: Sessualità e antidepressivi e Sessualità femminile e antidepressivi)

Al dosaggio 17 mg/die di citronellolo di olio essenziale di R. Damascena (ma sui dosaggi fatevi consigliare dal farmacista perchè ogni preparato può avere concentrazioni differenti) questo fitoterapico inizia a funzionare dopo 4 settimane e il suo effetto aumenta nel tempo.
Come è noto, nei maschi, gli antidepressivi danno soprattutto problemi di eiaculazione ritardata o assente (meno comunemente, problemi erettivi e mancanza di desiderio) per eccessiva stimolazione dei recettori cerebrali serotoninergici post sinaptici 5HT-2 e 5HT-3 mentre i problemi erettivi sono legati alla diminuita produzione di ossido nitrico (effetto opposto al Viagra e simili)
In entrambe i sessi poi l’eccesso di serotonina agisce negativamente su desiderio ed orgasmo a causa di:
1) eccessiva stimolazione delle aree cerebrali cortico-limbiche
2) diminuita liberazione di noradrenalina e dopamina dalla sostanza nera del mesencefalo.

Vi sono in Rosa Damascena alcuni componenti in grado di contrastare i suddetti effetti collaterali legati all’eccesso di serotonina con accorciamento dei tempi di ejaculazione, correzione di eventuali disturbi erettivi e maggiore intensità dell’orgasmo nei maschi; nelle femmine, aumento del desiderio, maggiore soddisfazione generale e maggiore intensità dell’orgasmo.
Per concludere, è nota da secoli anche l’azione antidepressiva, modesta ma reale, di Rosa Damascena.

(Vedi anche: “Maca (ginseng del perù), un afrodisiaco naturale per le donne” eZafferano: un composto fitoterapico che migliora la sessualità”)

A. Mercuri

Maca (Ginseng del Perù), un afrodisiaco naturale per le donne

Quella che comunemente viene denominata Maca, è un estratto di radice della pianta Lepidum menyenii conoscouta anche col nome di ginseng del Perù; è una pianta biennale con valore medicinale e nutritivo appartenente alla famiglia delle Brassicaceae ed è nativa del sudamerica, delle alte Ande peruviane. E’ stata scoperta dagli europei nel tardo 1980 sull’Altipiano Meseta de Bombón vicino ala lago Junin anche se le popolazioni del luogo la conoscono e la usano da millenni per la sua capacità di aumentare la fertilità negli animali e negli esseri umani (uominie donne) attraverso un’aumento  del desiderio sessuale e dell’intensità dell’orgasmo. Negli uomini e negli animali maschi si è notato inoltre un aumento di numero e motilità degli spermatozioi. Tutte le suddette azioni hanno fatto ipotizzare un’azione androgenica di Maca o diretta (sostanze simili al testosterone presenti nelle pianta) oppure indiretta.

Parlando dell’azione esercitata da Maca sulla sessualità delle donne, questa è relativa soprattutto all’appetito sessuale e all’intensità dell’orgasmo, entrambe funzioni fortemente dipendenti dai livelli di testosterone sia nell’uomo che nella donna.

Maca inoltre, nelle donne appena entrate in menopausa, sembra svolgere un’azione positiva alleviando i noti disturbi legati a questa fase di passaggio. Da notare che Maca, insieme a pochi altri rimedi fitoterapici tra cui l’estratto di Zafferano e l’olio di Rosa Damascena, costituisce un buon aiuto per contrastare gli inevitabili disturbi della sessualità legati all’uso di antidepressivi serotoninergici nelle donne (per questo problema vedi: “Sessualità femminile e antidepressivi”)

A. Mercuri

Zafferano: un composto fitoterapico che migliora la sessualità

Lo Zafferano (Crocus sativus) ha mostrato di avere effetti afrodisiaci sull’uomo, sulla donna e sugli animali.

Per quanto riguarda le donne, è stato condotto nel 2013 un’importante studio arruolando un certo numero di donne che assumevano Fluoxetina ad alto dosaggio (40 mg al giorno) per depressione maggiore e che riportavano diversi disturbi sessuali a causa del farmaco.

Dopo la somministrazione di 15 mg due volte al giorno di estratto di zafferano  per 4 settimane (quantità di Crocina di 1,65-1,75 mg di per capsula), il risultato è stato molto positivo soprattutto per quanto riguarda il miglioramento dell’eccitamento, della lubrificazione e dell’eventuale dolore vaginale associato alla penetrazione (Dispareunia). Non ha invece aumentato il desiderio né la presenza o la qualità dell’orgasmo. (Per valutare gli effetti del prodotto sulla sessualità delle donne arruolate nello studio, è’ stato utilizzato il famoso questionario FSFI (Female Sexual Function Index) che consiste di 19 domande relative ai domini : desiderio, eccitamento, lubrificazione, orgasmo, soddisfazione e dolore).

I due principali principi attivi di Zafferano sono la Crucina e il Safranale, il primo dei quali sembra responsabile dei benefici sulla sessualità anche se non se ne conosce il meccanismo d’azione preciso.

Lo zafferano possiede inoltre proprietà antiinfiammatorie, antiossidanti, neuroprotettive e antiepilettiche, proprietà che nel loro insieme potrebbero contribuire all’effetto afrodisiaco. Una curiosità che toglie ulteriormente dubbi sulla possibilità di un effetto suggestione è che anche nei ratti, lo zafferano ha dimostrato di avere effetti afrodisiaci importanti. Sembra inoltre che Zafferano sia esente da effetti collaterali di rilievo se assunto alle dosi raccomandate.

Degno di nota è poi l’effetto positivo sul dolore in generale e vaginale in particolare dello zafferano, forse legato alla sua capacità di stimolare la produzione di oppioidi e neuropeptidi; la sua azione sul sistema degli oppioidi è stata dimostrata sui gatti dove l’antidoto contro gli oppiacei Naloxone è stato in grado di bloccare l’azione antidolorifica dello zafferano. Sono state anche dimostrate azioni utili di zafferano sulla dismenorrea, sulla demenza e sulla depressione.

A. Mercuri

 

Sessualità femminile e antidepressivi

Aggiornato il 12 ottobre 2022

La sessualità è una funzione umana estremamente delicata e, soprattutto nella donna, risente negativamente di un organismo che non funziona in modo ottimale: questo perché, sebbene noi umani ci dedichiamo al sesso prevalentemente per il piacere che dà, per la Natura dietro ad ogni rapporto sessuale segue potenzialmente la procreazione: è chiaro quindi che, dato il noto impegno mentale e fisico che un bambino comporta, la Natura fa si che che chi non ha sufficiente salute generale per seguire adeguatamente una futura eventuale prole, eviti momentaneamente di procreare.

Questo vale sia per l’uomo (deve provvedere al sostentamento materiale della donna e del piccolo figlio per un certo periodo) che, molto di più, per la donna (deve affrontare una lunga gravidanza e poi seguire il figlio neonato con la nota fatica che questo comporta).

Per quanto riguarda la donna, va aggiunto che: 1) il suo ruolo nella gestazione e nell’accudimento della prole è, rispetto a quello del maschio, insostituibile 2) la gravidanza di per sé impegna fortemente il fisico della donna e, soprattutto per ragioni ormonali, tende a provocare un abbassamento del tono dell’umore.
Parlando quindi di depressione in relazione alla delicatissima sessualità femminile, dobbiamo capire che, se una donna è depressa o anche semplicemente “avvilita”, il suo desiderio di sesso momentaneamente si affievolisce (fino a spegnersi nelle depressioni gravi) per le profonde ragioni prudenziali che la Natura impone.
Sappiamo poi che anche gli antidepressivi (e prevalentemente quelli serotoninergici puri) hanno un impatto negativo sulla sessualità (sia nel maschio che nella femmina), principalmente per la loro caratteristica di innalzare il livello di serotonina e di creare uno squilibrio biochimico sia a livello cerebrale (attenuazione del desiderio e scarsa soddisfazione) che a livello d’organo (inibizione dell’eccitamento e disturbi dell’orgasmo); se una donna anche non depressa quindi assume un antidepressivo, la sua sessualità ne risulta compromessa per banali ragioni di serotonina.

Vedi anche (Sessualità e antidepressivi)

Se invece l’antidepressivo lo assume con successo una donna con una vera depressione e la libido spenta, può capitare che la sua voglia di sesso riprenda quota, nonostante il farmaco di per sè, dovrebbe ulteriormente compromettere la sua sessualità; evidentemente, l’aumento di libido legata alla risalita dell’umore è tale da sopravanzare gli effetti inibitori del farmaco e il risultato netto per la suddetta donna è questo: l’antidepressivo le ha migliorato la sessualità.   

(Leggi ancheLe fantasie sessuali femminili e maschili” ,  Immaginario sessuale femminile” e Donne sopra)

Riassumendo, gli antidepressivi inibiscono la sessualita’ quando vengono assunti per depressioni lievi o medie oppure per condizioni quali ansia, insonnia, fobie, forme ossessive, disturbi di panico; tutte condizioni le suddette, che non interferiscono particolarmente con la vita sessuale: allora sì che una persona si accorge dei disturbi da eccesso di serotonina che il nuovo farmaco comporta, perché prima funzionava normalmente o quasi mentre certamente ora che assume il farmaco la sua soddisfazione sessuale cala visibilmente.

Nella depressione maggiore invece, la libido va praticamente a zero nel contesto di una generale incapacità di provare piacere ed ecco allora che, in modo apparentemente paradossale, l’antidepressivo efficace  migliora la libido.

(Vedi anche: “Orgasmo femminile, curosità storiche“)

Gli antidepressivi dovrebbero essere usati solo ed esclusivamente per le depressioni molto gravi dove allora danno solo vantaggi ma oggi purtroppo vengono il più delle volte utilizzati impropriamente anche per depressioni situazionali lievi o medie, o per le su citate condizioni quali ansia, insonnia, ossessività, fobie, condizioni nelle quali gli antidepressivi possono dare anche un sollievo iniziale, spesso seguito però da dipendenza e altri problemi aggiuntivi che prima della cura non c’erano.

Fatta questa lunga premessa, cosa può fare una donna che assume antidepressivi e nota un calo di interesse per il sesso?
In generale, le fasi della sessualità che nelle donne sono più compromesse dagli antidepressivi sono il desiderio (dimensione psichica), e l’eccitabilità (dimensione fisica), mentre l’orgasmo non ne risulta molto compromesso.

Innanzitutto, se l’antidepressivo non è molto efficace, si può provare a cambiarlo dando la preferenza alle molecole che abbiano non solo una componente serotoninergica ma anche noradrenergica (duloxetina, clomipramina, amitriptilina, nortriptilina, ecc); questo perché nella donna, desiderio ed eccitamento dipendono molto dall’attivazione noradrenergica. Anche nella scelta iniziale di una molecola antidepressiva, andrebbe tenuto presente che i serotoninergici puri tipo citalopram, escitalopram, venlafaxina  a basso dosaggio, sertralina, paroxetina oltre a dare assuefazione più rapidamente, danno maggiori problemi sessuali e di appiattimento emotivo.
Altre possibilità farmacologiche, non volendo cambiare molecola antidepressiva, è di affiancarvi Trittico a rilascio prolungato la sera, ad un dosaggio fino a circa 100 mg e non oltre (vedi: Increased libido in women receiving trazodone) oppure Aripiprazolo a dosaggio molto basso (dai 3 ai 5 mg) che avendo un buon effetto dopaminergico stimola la sessualità femminile nelle dimensioni della libido e della soddisfazione generale (vedi: Effects of Adjunctive Aripiprazole on Sexual Functioning….)

Ancora, altre strategie sono:

  • Una ginnastica impegnativa (ma non troppo) sul piano muscolare e cardiovascolare che duri almeno 30 minuti e possibilmente poco prima del rapporto: da notare che la ginnastica è un potente stimolante adrenergico naturale, proprio ciò di cui prima parlavamo: il calo di tono adrenergico è particolarmente evidente nelle depressioni apatiche o nel caso di utilizzo di serotoninergici puri e comporta, oltre che un basso tono dell’umore, anche un calo di desiderio e di eccitamento sessuali
  • Svolgere attività sessuale alla maggior distanza possibile dall’ultima somministrazione di antidepressivo (di solito è al mattino, prima di prendere il farmaco)
  • Dedicarsi all’attività sessuale almeno tre volte a settimana; si crea così un circolo virtuoso di miglioramento della soddisfazione sessuale per aumento del desiderio e della libido
  • Agopuntura da eseguire secondo protocolli convalidati per questo scopo
  • Fitoterapia:
    Zafferano (Crocus sativus), 30 mg al giorno: non è una droga ad effetto immediato ma un principio attivo           fitoterapico che richiede circa 4 settimane per agire positivamente sulla sessualità femminile
    Radice di Maca (Lepidium meyenii) 3.0 g al giorno per almeno 4 settimane.
    Olio di Rosa Damascena
  • Gli antidepressivi serotoninergici puri possono dare una diminuita sensibilità genitale che può causare ovvie conseguenze sul piano della soddisfazione sessuale femminile; in questo andrà particolarmente curata la fase preliminare alla penetrazione
  • Attenzione alla pillola anticoncezionale che potrebbe dare già di per sé calo del desiderio sessuale e ancor di più quando associata agli antidepressivi, soprattutto in alcune donne geneticamente predisposte.

Un caro saluto,

A. Mercuri

Curare la mente con le parole: un’illusione o una realtà?

Si sente sempre più spesso parlare di psicoterapia e di persone che frequentano uno psicoterapeuta per risolvere i propri problemi psicologici; ma, innanzi tutto, cosa è la psicoterapia e cosa è uno psicoterapeuta?
La psicoterapia è una scienza e un’arte che servendosi principalmente del colloquio, mira a correggere pensieri, emozioni, atteggiamenti errati e controproducenti in una persona con problemi psicologici o affettivi, motivata a chiedere aiuto e determinata a cambiare; lo strumento principale della psicoterapia è dunque la parola.
La psicoterapia mira quindi a curare il paziente attraverso mezzi esclusivamente psichici contrapponendosi alla psico-farmaco-terapia che tenta invece di migliorare il disagio psico-emotivo modificando direttamente la materia e cioè il cervello.
E lo psicoterapeuta, chi è? Oggi in Italia può fregiarsi del titolo ufficiale di psicoterapeuta lo psicologo o il medico che si sia diplomato presso una delle scuole di formazione quadriennali o quinquennali riconosciute dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR).
Ci sono due cose da dire a questo punto: la psicoterapia non è solo scienza quindi alle volte una persona intelligente, colta e carismatica può entrare maggiormente in risonanza psicoaffettiva con gli altri di un preparatissimo psicoterapeuta ufficialmente riconosciuto dal MIUR, che studia continuamente e frequenta mille corsi di formazione e di aggiornamento  Seconda cosa: il fatto stesso di poter parlare dei propri problemi con una persona disposta ad ascoltarti chiarisce le idee, mette in ordine i pensieri e aiuta a trovare nuove soluzioni, indipendentemente dalla bravura di chi hai di fronte. E qui si tocca un punto fondamentale: se lo psicoterapeuta riesce a cambiarti è perché sa incoraggiarti a fare cose che erano già latenti o in nuce tra le tue più profonde convinzioni. Perché lo psicoterapeuta non è un chirurgo che ti addormenta e ti trasforma: Continua a leggere

Attenzione agli antidepressivi: un promemoria

Gentili lettori, pubblico qui un semplice articolo scritto da me in questi giorni per un periodico della mia città: uso parole semplici perché il messaggio è rivolto ad un pubblico comune ma può servire come promemoria e riassunto per tutti voi riguardo alla cautela da usare prima di iniziare una terapia con antidepressivi.

Da due anni a questa parte, prima con la pandemia Covid e ora con la guerra in Ucraina, l’umanità sembra essere entrata in una fase nuova caratterizzata da un’atmosfera psico-emotiva cupa e da una disposizione d’animo grigia. Facile è, in tale contesto, cercare sollievo rapido nella chimica e in particolare nei farmaci antidepressivi ( Zoloft, Sereupin, Brintellix, Efexor, Cipralex, Cymbalta, sono ormai nomi familiari a tutti); tali antidepressivi, per funzionare, devono essere assunti continuativamente per circa 1 mese e la cura va poi proseguita per almeno 6 mesi.
Ma sono davvero “pillole della felicità”? La risposta ovviamente è: NO!
Gli antidepressivi sono necessari e funzionano bene solo nelle depressioni molto gravi mentre in quelle leggere o medie sono assai poco efficaci: essi non sono quindi sostanze stimolanti o euforizzanti in grado di innalzare il tono dell’umore di chiunque; il loro utilizzo inoltre, è gravato da una serie di effetti collaterali che puoi accettare se l’efficacia è notevole (come nelle gravi depressioni) ma non se l’efficacia è minima (come nelle depressioni lievi dette anche distimie).
Quello che non molti sanno poi è che l’antidepressivo non cura la depressione ma ne copre soltanto i sintomi (come la tachipirina per la febbre); come lo sospendi, tutto di solito torna come e peggio di prima. Se quindi decidi di non sospenderlo e utilizzarlo magari a vita come fosse una protesi chimica, devi sapere che l’antidepressivo funziona (se funziona) solo per alcuni anni, dai 2 ai 5 al massimo ma poi non funziona più, nemmeno aumentandone il dosaggio e spesso nemmeno cambiando molecola: a questo punto la depressione torna nonostante si continui ad assumere il farmaco. Perché avviene questo?
Avviene perché il cervello, col passare del tempo, si abitua alla molecola a tal punto da riuscire ad annullarne l’effetto: della depressione andrebbe trovata e rimossa la causa perché se agisci solo sui sintomi, rischi di innescare una controreazione del cervello che tenta di riprendersi la sua depressione che in quel periodo, per motivi a noi sconosciuti, lui vuole.
Gli errori più comuni che portano a cominciare una terapia antidepressiva qualora non ve ne sia necessità, sono:

  1. Mi devo curare se no peggioro o la depressione si cronicizza
    Non è vero. La mente umana è stupendamente in grado di creare compensi ai disagi emotivi, basta lasciarle il tempo di organizzarsi senza turbarla con sostanze chimiche estranee. La condizione che rende necessaria una terapia farmacologica per la depressione si presenta qualora ansia e depressione siano talmente forti da impedire di attuare strategie di cambiamento; la necessità di una terapia psicofarmacologica cioè, esiste solo qualora la persona non sia più in grado di reagire.
  2. Non sono molto depresso ma voglio stare meglio
    Questo è uno degli errori più comuni: gli antidepressivi non agiscono nelle depressioni medie o leggere e se anche dessero un modesto miglioramento dell’umore, gli effetti collaterali a breve e a lungo termine ne annullerebbero di gran lunga i benefici.
  3. Prendo antidepressivi pur non essendo depresso, per alleviare ansia, insonnia, ossessioni
    Non ne vale la pena, se anche la molecola dovesse funzionare in tali casi, lo farebbe per un breve periodo ma poi i suddetti sintomi tornerebbero nonostante la terapia, aggravati e complicati da uno stato depressivo che prima non c’era.
  4. Gli psicofarmaci curano e possono far guarire
    Non è vero, in medicina solo gli antibiotici curano la malattia spegnendo l’infezione; gli antidepressivi invece danno solo momentaneo sollievo ai sintomi ma non modificano in modo permanente la biochimica del cervello anzi, tendono a peggiorarla. Fin che li assumi il sollievo persiste (solo per qualche anno) ma come li sospendi tutto solitamente torna come prima o anche peggio.
    Concludo esortando i lettori a seguire questi principi:
  • Cominciate una terapia antidepressiva solo qualora la depressione sia talmente forte da impedirvi di reagire o se mette a rischio la vostra incolumità fisica; fin che avete invece la forza per lottare escludendo la chimica (droghe e alcol compresi, si intende!), fatelo: i farmaci antidepressivi attualmente in uso alleviano i sintomi della depressione ma tendono contemporaneamente ad aggravarla poiché innescano una controreazione del cervello. Devono quindi essere una scelta estrema, di emergenza contro la depressione e mai la prima opzione come invece troppo spesso capita
  • Evitate di assumere antidepressivi nel caso di depressioni leggere oppure per semplice insonnia, ansia o forme ossessive.