L’irriducibile determinazione dell’anoressica

Riflettendo sull’irriducibile determinazione delle ragazze anoressiche, il cui obiettivo è inattaccabile sia dalle parole che dagli psicofarmaci – più grave del delirio dei folli pur non essendo esse folli- mi sono chiesto a quale dimensione psicopatologica possiamo associare tale ferreo convincimento. La risposta che mi sono dato è stata: alla dimensione dell’idealismo fanatico.
Esiste infatti in tutti gli esseri umani ed è particolarmente sviluppata nei cosiddetti “idealisti”, la propensione a crearsi obiettivi per il futuro che giustifichino e rendano lecita la propria esistenza; l’idealismo sano, è una dimensione cognitiva, un meccanismo mentale tipicamente umano che probabilmente si è selezionato nel corso dell’evoluzione biologica per aver dato un grosso vantaggio riproduttivo in chi lo possedeva. Nessuno di noi infatti (e questo è un concetto da tenere sempre a mente) ha, per legge di natura, il diritto di vivere solo perché è nato; il diritto di vivere lo si conquista col valore, con un valore che sia riconosciuto dalla natura e dagli altri e questo valore spesso ce lo si costruisce perseguendo un ideale: un valore di attrattiva sessuale, soprattutto, quando si è giovani, che poi sfoci nell’utilità biologica della procreazione; e un valore di utilità sociale quando si è più adulti. La natura non dà pace a chi non s’adopera per il bene comune, che sia di tipo biologico (altruismo biologico cioè fare figli) o che sia di tipo sociale (contribuire alla gioia o al successo degli altri).
In alcune persone predisposte tuttavia, capita che l’atteggiamento idealistico si esasperi diventando fanatismo, cioè ossessività intorno al tema del proprio ideale, perfezionismo nel voler raggiungere i sommi risultati, sensazione che vi sia una profonda verità nella propria idea, rifiuto di ciò che contrasta o rallenta il raggiungimento dell’obiettivo: tutto ciò col rischio di perdere il senso delle proporzioni tra la propria idea e la realtà. In tali casi e con il concorso di elementi caratteriali, il senso della missione può diventare talmente forte da superare l’istinto di conservazione o il rispetto della vita altrui: Continua a leggere

Cosa spinge alcune adolescenti a morire di fame?

La ragazza adolescente che si cimenta in una dieta dimagrante è molto comune oggi, ma solo poche, appena una su duecento, diviene anoressica. Nella progressione da dieta per desiderio di magrezza a delirio pericoloso per la vita, giocano una serie di sfortunate coincidenze fatte di personalità, educazione, modello culturale, ma vi è anche una componente fisica innescata dal prolungato digiuno: la fame e la conseguente malnutrizione, innescano in chiunque, anche nelle persone non predisposte all’anoressia nervosa, meccanismi fisiologici primordiali tesi alla sopravvivenza che, se mantenuti attivi troppo tempo per l’assurda determinazione a dimagrire, finiscono per facilitare la progressione della malattia.
Perché il digiuno prolungato favorisce la progressione dell’anoressia?
La fame, essendo una condizione potenzialmente mortale per l’individuo, innesca atavici e potenti meccanismi psicofisici di sopravvivenza finalizzati alla ricerca del cibo: aumento dell’ansia, della vigilanza, delle prestazioni psicofisiche, diminuzione del sonno, focalizzazione ideo-affettiva ossessiva sul cibo, disinteresse per tutto ciò che può essere svolto dopo, quando rientrerà l’emergenza: amore, sesso, amici, piani per il futuro; tutto questo può aspettare. Infatti, associata alla fame e alla magrezza, vi è la potente attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che inizia con la secrezione ipotalamica di CRF (fattore stimolante l’ipofisi), passa attraverso la secrezione di ACTH ed endorfine dall’ipofisi e termina con la secrezione di cortisolo e catecolammine (adrenalina, noradrenalina) dalle ghiandole surrenaliche.
Inizialmente, l’attivazione di questa condizione di emergenza, rende la persona affamata euforica, iperattiva, super sveglia, svelta e scattante e questo benessere iniziale, rinforza nell’adolescente digiunatrice il convincimento che dimagrendo si sta meglio. A lungo andare però, tale condizione di iperattività non placata dall’introduzione di cibo finisce per esaurire esitando in depressione ansiosa, comportamento ossessivo e sindrome delirante. Alti livelli cronici di CRH, catecolammine e cortisolo (ormone dello stress), oltre a distruggere il fisico per consunzione, danneggiano il tessuto cerebrale soprattutto in alcune zone (ippocampo e corteccia prefrontale mediale) tant’è che, nel complesso, è ben visibile un rimpicciolimento del cervello. Ancora, il prolungato digiuno, fa diminuire l’efficacia degli ormoni tiroidei e dell’ormone della crescita, favorendo depressione e ritiro sociale, anche questi fattori di rischio per la progressione della malattia. Inoltre, col prosciugamento del tessuto adiposo, dalle cui cellule viene prodotta, cala anche la quantità di Leptina circolante, un ormone in grado di stimolare l’appetito e di smorzare il circuito dello stress su menzionato. Continua a leggere

Anoressia Nervosa

E’ una malattia psichiatrica che colpisce prevalentemente le ragazze adolescenti tra i 15 e i 19 anni. Si stima che in Italia ne siano affette circa 300.000 donne, 1 ogni 200, con 9000 nuovi casi ogni anno. E’ molto più diffusa nei Paesi Industrializzati e presso alcune categorie di ragazze come le danzatrici, le atlete e le studentesse universitarie. E’ una malattia che spesso tende a cronicizzarsi, con remissioni e riaccensioni, frequentemente associata ad altre patologie psichiatriche (fobie, ossessioni, depressione) ed a disturbi di personalità. Continua a leggere

Decisioni intuitive: le migliori, per noi

Cari lettori, vi consiglio un libro interessante, che tratta un argomento originale: “Decisioni intuitive: quando si sceglie senza pensarci troppo” dello scienziato cognitivo Gerd Gigerenzer. L’autore, spiega come il nostro cervello e il nostro corpo, siano in grado di risolvere problemi complessi nel modo per noi più conveniente, attraverso un inconscio processo di sommatoria d’un numero enorme di pro e contro e, soprattutto ( e questa è la cosa più sorprendente), dando un peso preciso e differente ai singoli vantaggi e svantaggi: una cosa che mai, coscientemente e razionalmente saremmo in grado di fare.
Fondamentali, sono anche i segnali del corpo che hanno a che fare con la dimensione emotiva: tante volte infatti, dopo aver preso una decisione ragionata, sentiamo che tuttavia, non è quella giusta per noi, e questo lo sentiamo col corpo, tant’è che spesso diciamo: si, sarebbe giusto fare così, ma “io non me la sento”.
Tale capacità e necessità di decidere intuitivamente, è emersa nel corso dell’evoluzione, come adattamento ad un mondo complesso, nel quale giocano un numero enorme di variabili; interessante è notare come sia facile consigliar egli altri, mentre è difficile prendere decisioni riguardanti noi stessi, dove ecco che l’intuito gioca un ruolo fondamentale: da qui il detto “chiedi consiglio a cento ma poi fai di testa tua”.

Ancora, si usa dire, “nel dubbio, astienti” e questo esprime una cosa fondamentale: le decisioni giuste per noi, hanno bisogno del loro tempo per essere prese, tempo in cui è più utile dedicarsi ad altre cose oppure dormire; mentre facciamo altro infatti, oppure dormiamo, il nostro cervello fa i suoi calcoli segreti senza essere disturbato dal ragionamento o dalla stanchezza; e spesso capita che sia proprio al mattino, a mente fresca, che ci ritroviamo la soluzione in mano.
A. Mercuri

Sul fare Sport

ENRICO ARCELLI

Un consiglio che do sempre ai miei pazienti è quello di fare sport regolarmente almeno due-tre volte la settimana, possibilmente un’attività aerobica all’aria aperta, come ad esempio la semplice corsa lenta. L’effetto benefico su tutto l’organismo è cosa risaputa e intuitivamente comprensibile; a livello cerebrale poi vi sono delle modificazioni biochimiche che si traducono in un effetto euforizzante paragonabile a quello dei farmaci antidepressivi ma con ovvie differenze in favore dello sport.
Un bel libro sulla corsa lenta, scritto da un simpatico medico, Enrico Arcelli,    si intitola “Correre è bello”: troverete qui ogni sorta di consigli intelligenti dati da un aristocratico, appassionato, famoso medico dello sport e corridore.

L’impatto del computer sulla vita e la psiche di bambini e adolescenti

Autore: Irina Zalinskaya 

Traduzione di A. Mercuri

La tecnologia informatica ha cambiato il mondo e oggi il computer è diventato parte della vita di quasi tutte le persone; per i bambini poi, è parte naturale dell’infanzia, come il gioco del pallone o la bicicletta.
Le ricerche non consentono ancora di dare una valutazione univoca ed esauriente riguardo l’influenza del computer sulla psiche del bambino. Esso può essere uno strumento utile per la terapia di vari disturbi, migliorando ad esempio la coordinazione occhio-mano; studi scientifici dimostrano poi che i videogiochi stimolano i processi mentali infantili, abituano il bambino a riflettere, stimolano la sua immaginazione, arricchiscono la sue conoscenze.
Ma insieme a queste acquisizioni positive, una applicazione costante al computer può comportare nei bambini modificazioni negative della personalità: oltre al rischio di svariati disturbi fisici (problemi di vista, obesità, cefalea, postura scorretta, ecc.), possono manifestarsi alcuni disturbi psichici. Gli adolescenti che frequentano assiduamente il mondo virtuale possono ad esempio perdere il senso della realtà e affrontare quindi la vita reale con meno entusiasmo, scivolando verso la noia e la depressione se le loro condizioni di vita reale non sono particolarmente interessanti e ricche; trascorrendo poi molto tempo coi social networks, gli adolescenti vanno incontro a difficoltà di comunicazione tra loro nella vita reale.

Impatto negativo sullo sviluppo psicosociale

Internet, le chat, i videogiochi, se utilizzati per lungo tempo causano dipendenza psicologica: si modificano le emozioni e diminuiscono le competenze sociali; si stima che tra gli utenti della rete, circa il 23% sia internet-dipendente e questo è già un problema che di norma è molto difficile da gestire perchè l’astinenza dal computer provoca una sindrome simile a quella dell’astinenza da alcool: tremore, sudorazione, insonnia, ansia, depressione.

Per quanto riguarda il bambino, egli comincia ad uscire poco di casa, non si incontra con i coetanei, non stabilisce nuovi legami sociali, smette di sognare e tutto questo aumenta il suo senso di solitudine: il mondo virtuale gli invade la vita allontanandolo da quella reale.

Impatto negativo sullo sviluppo della moralità

Utilizzando i videogiochi, il bambino assimila alcuni modelli di comportamento, anche aggressivi, che può successivamente trasferire nella vita reale.
Ancora, il vincere ai videogiochi, rafforza in lui l’autostima e la sensazione di successo, mentre le sconfitte gli causano scoppi d’ira e ansia. Spesso, dopo aver giocato al computer, residua in lui un senso di solitudine e perdita.
Come hanno dimostrato alcuni studi, i videogiochi violenti provocano nei bambini un aumento di aggressività, sospetto e irritabilità mentre, parallelamente, diminuisce la sensibilità morale: tutte cose che, combinate insieme, possono portare allo sviluppo di una personalità antisociale. Lo stesso vale per i siti internet che propongono contenuti immorali e violenti, come i siti pornografici, il cui effetto venefico è evidente.
Tuttavia, non bisogna vietare al bambino di “comunicare” con il computer, soprattutto perché il frutto proibito sarà sempre una tentazione: la parola chiave è pertanto “moderazione”. Il computer può essere il peggior nemico ma può anche diventare un assistente, se usato per scopi educativi e cognitivi, accelerando lo sviluppo del bambino e ampliando i suoi interessi.

Faccio un paragone tra i bambini dell’Era pre-informatica, in particolare la mia, gli anni ’80 e quelli d’oggi.
Ricordo che la nostra infanzia è stata ricca di vita vera e di emozioni, la comunicazione era diretta coi coetanei, da persona a persona, non c’erano social media e videogiochi ma giochi di squadra che facilitavano la creazione di contatti umani reali e profondi; c’era il contatto e la comunione con la natura, le escursioni scolastiche nella foresta, sul fiume, in montagna, nelle grotte; buona parte del tempo era speso in attività fisiche all’aria aperta, cosa che influiva anche positivamente sull’organismo in crescita.
Oggi manca la comunicazione intima da cortile, i cortili sono diventati parcheggi d’auto: è la perdita di un luogo reale ma anche di luogo-simbolo del contatto umano intimo e diretto, che porta con sé l’aiuto reciproco reale, quando necessario. Un gran numero di legami d’infanzia che si protraggono ancora nella vita adulta, è nato proprio nel cortile quand’ero bambina. Oggi, si vedono spesso le persone che, fin dall’adolescenza, stanno vicine le une alle altre guardando lo smartphone, ognuno per suo conto.

Concludendo, la comunicazione delle informazioni in tempo reale è molto più semplice oggi ma i bambini e gli adolescenti del 20°secolo hanno avuto una vita emotivamente molto più ricca. Grazie all’abitudine di comunicare in modo diretto sono cresciuti più socievoli, più interessati a fare nuove conoscenze, più adattabili ai cambiamenti del mondo circostante e, avendo vissuto dippiù all’aria aperta rispetto ai bambini d’oggi, si sono meglio sviluppati fisicamente, emotivamente, hanno meno allergie e una migliore risposta immunitaria.

Benessere psichico & Altruismo

Penso che la mente umana sia meno complicata e ripiegata su se stessa di quanto la psicologia freudiana ci ha proposto. La psicoanalisi ha avuto il merito di porre l’attenzione sull’individuo, sui suoi bisogni e sofferenze ma poi è andata oltre il segno divenendo una sorta di fede indimostrabile e astrusa, irrealistica nella sua distanza dalle leggi biologiche che sono invece molto più dedicate alla conservazione della specie che dell’individuo. Un uomo che, per raggiungere la serenità, si concentri su se stesso come la psicoanalisi o altre filosofie consigliano, non raggiungerà mai alcuna pace. Continua a leggere

La pratica dello psicoterapeuta

Non c’è nulla di più importante per uno psicoterapeuta, che avere visto moltissimi pazienti per capire, al di là delle differenze individuali, che esistono “categorie” di persone che seguono destini simili, si somigliano nel modo di pensare, vivere, sentire, reagire, credere; e pure se s’ammalano psicologicamente, si somigliano. Un’ampia casistica “personale” è fondamentale per capire, a grandi linee, chi hai di fronte, con un solo colloquio. Continua a leggere

La cultura dello psicoterapeuta

Lo psicoterapeuta efficace non può avere solo una cultura tecnica relativa alla propria materia, la psicologia, ma una cultura globale. Per cominciare, deve conoscere la medicina e la farmacologia perché molte malattie del corpo, oppure farmaci e droghe, possono essere responsabili dei disturbi che il paziente lamenta: non sarebbe una bella figura se tenessimo in cura sei mesi una persona che lamenta astenia e depressione attribuendone la causa a traumi psicologici infantili ma scoprendo poi che soffre di ipotiroidismo, di insufficienza epatica, ha livelli molto bassi di vitamine del gruppo B oppure ha un disturbo neurologico incipiente.
Bisogna avere inoltre, gli strumenti scientifici per capire come e quanto le eventuali sostanze psicotrope assunte (anche le più comuni: alcol, nicotina, caffeina) interferiscono col funzionamento psichico, affettivo, comportamentale, sociale del paziente. Gli psicofarmaci, che con le droghe hanno molti punti in comune e troppo spesso oggi sono usati scorrettamente, possono diventare gli unici responsabili delle strane sofferenze per le quali le persone si rivolgono a noi: bisogna pertanto saperli togliere; talvolta però, divengono necessari e allora dobbiamo anche saperli prescrivere. Personalmente mi sento molto a disagio quando un paziente, con me, vuole fare solo la psicoterapia mentre per gli psicofarmaci lo segue lo psichiatra: con che animo mi accingo io, psicoterapeuta medico, a curare solo con le parole una depressione, sapendo che il mio paziente assume da diec’anni tre pastiglie di Tavor al giorno perché il suo psichiatra dice che così va bene? E se un altro arriva agitato, piangente e scopro che ha sospeso da poco l’antidepressivo, cosa faccio? Gli parlo dell’inconscio? Continua a leggere

“I tempi di Anika” di Ivo Andric (1892-1975)

Bel racconto di Ivo Andric, scrittore Serbo nato in Bosnia nel 1892. Fu scrittore (premio Nobel 1961), uomo politico e diplomatico, di vasta popolarità nel suo Paese.
Anika è ragazza di un piccolo e reale paese della Bosnia, Dobrun, che per qualche misterioso motivo, tra il bene e il male sceglie il male; sceglie cioè di acquisire potere e notorietà diventando “amica” degli uomini del Paese.
E con la protezione dei più influenti tra essi, che incanta con la sua misteriosa bellezza, colpisce chi la minaccia, la biasima, la critica divenendo di fatto invulnerabile di fronte ai detrattori e alla giustizia perché gli stessi preposti all’ordine pubblico subiscono il suo fascino e rimangono avvinti dalla sua compiacenza.
Esercita la prostituzione ma non chiede soldi e non si arricchisce. Perché lo fa? Perché, mentre le altre ragazze vivono sotto il sole costruendosi un futuro tra figli e famiglia lei vive nell’ombra, in una trincea, combattendo contro un nemico invisibile a tutti? Perché quella propensione naturale per ciò che è losco, proibito, malvagio?
Alle volte si diventa così per aver subito troppi torti quindi per rivalsa sulla famiglia, sulla società, sul mondo intero. Oppure perché alcune persone non hanno gli strumenti cognitivi per emergere nella vita ma, oppressi dall’urgenza interiore di non rimanere anonimi per l’eternità, scelgono il male come via più facile per attirare su di sé l’attenzione e il ricordo.
Comunque non va dimenticato che il padre di Anika era un omicida che ha ucciso un uomo con un bastone solo perché gli rubava un po’ di frutta dall’albero e la madre era una donna di dubbia salute mentale e intelligenza; il fratello di Anika, d’altra parte, era un gracile mentale.
Non mi dilungo oltre, se siete curiosi, leggete il racconto.

A. Mercuri