Venlafaxina (Efexor)

Fa parte degli antidepressivi di nuova generazione (cioè dei cosiddetti selettivi) che sono stati sintetizzati dopo i Triciclici sperando di fornire nuove molecole altrettanto efficaci sulla depressione ma con meno effetti collaterali dei triciclici. I risultati reali però, nonostante la serrata campagna di marketing delle case farmaceutiche produttrici, non sono stati quelli sperati: i nuovi antidepressivi, sono molto meno efficaci sulla depressione e gravati da effetti collaterali spesso più pesanti e persistenti.

Ciò nonostante, e questo è un triste esempio di cosa possono fare le campagne pubblicitarie miliardarie in sinergia con gli studi scientifici pilotati, i nuovi antidepressivi sono riusciti a conquistare il mercato facendo mettere in soffitta (o quasi) i loro progenitori Triciclici (Anafranil, Laroxil, Noritren, ecc.), più efficaci e spesso meno tossici.

Uno dei tanti esempi tra i “nuovi”, è la Venlafaxina (Efexor) che viene venduto come un efficacissimo antidepressivo a doppia azione, sia serotoninergica che noradrenergica (SNRI in gergo), con pochi o nulli effetti collaterali. In verità invece, il suo effetto noradrenergico è pressochè uguale a zero, gli effetti collaterali spesso gravosi e ineliminabili, la sospensione un’impresa ardua; insomma, la Venlafaxina sarebbe un banale serotoninergico, con i suoi begli effetti collaterali tipici e un modesto effetto antidepressivo, anche ad alti dosaggi.

A questo punto, davvero non si capisce (si fa per dire…) perchè le linee guida sugli psicofarmaci debbano sconsigliare i Triciclici come farmaci di prima scelta, dal momento che essi sono incomparabilmente più efficaci anche nelle depressioni estremamente gravi, e spesso lo sono a dosaggi molto bassi che comportano effetti collaterali (compreso quello sulla sessualità) pressochè nulli.

Per approfondimenti, vedete l’articolo del famoso psicofarmacologo inglese Ken Gillman cliccando QUI

Buona lettura,

A. Mercuri

Mirtazapina: è veramente un antidepressivo?

E’ emerso recentemente, dalle ricerche di psicofarmacologi obiettivi perchè indipendenti, che il potere antidepressivo della Mirtazapina sia da mettere fortemente in dubbio e questo è confermato dalla mia esperienza e  dalle opinioni dei pazienti, i quali sono tutti concordi nel dire che essa migliora solo il sonno e l’appetito (ma per un periodo tra l’altro limitato).

Ecco l’articolo di un famoso e onesto psicofarmacologo: https://psychotropical.com/mirtazapine-a-paradigm-of-mediocre-science/

Ecco le opinioni dei pazienti:

https://www.qsalute.it/remeron/

https://www.meamedica.it/depressione-antidepressivi-altro/mirtazapina

La Mirtazapina si comporterebbe in realtà solo da potente antiistaminico comportando un forte aumento di appetito, peso e sonno. Il miglioramento dell’umore sarebbe solo una temporanea conseguenza del miglioramento del sonno e della conseguente brusca caduta dei livelli di cortisolo (ormone dello stress); però, l’effetto antiistaminico, responsabile di miglioramento rapido di sonno e appetito, va via via affievolendosi e altri effetti non compaiono. Si potrebbe quindi concludere che la Mirtazapina è utile nell’immediato per migliorare sonno e appetito del depresso, ma va associata ad altri psicofarmaci che siano veramente antidepressivi anche nel lungo periodo.

Vi rimando comunque al mio articolo precedente del 20 maggio 2018 (clicca QUI) dove trovate la farmacologia ufficiale della Mirtazapina, ciòè il suo meccanismo d’azione e i suoi effetti secondo la Casa produttrice e secondo gli organi governativi di  controllo (FDA in America, AIFA in Italia).

A. Mercuri

Psicoterapia cognitivo-comportamentale della depressione

La psicoterapia cognitivo-comportamentale a differenza di quella psicoanalitica non è nota a tutti perchè è più recente e molto tecnica; personalmente ho deciso di adottare prevalentemente questo indirizzo psicoterapico perchè ha solide basi scientifiche, è di breve durata e la sua efficacia è provata e documentata. Oggi vorrei focalizzare l’attenzione sulle principali tecniche utilizzate nella depressione; ci tengo a precisare che ciò che segue è solo un breve riassunto che schematizza e standardizza il percorso terapeutico che deve però essere poi modificato e adattato caso per caso.

La psicoterapia cognitivo comportamentale della depressione si basa sostanzialmente sull’uso combinato di tecniche comportamentali prima e cognitive poi.

Tecniche comportamentali

1) Organizzazione e strutturazione del tempo libero

Il paziente depresso tende a trascorrere il proprio tempo libero nell’ozio e nel rimuginio sterile dei soliti problemi senza cercare soluzioni valide per risolverli; ciò evidentemente aggrava lo stato depressivo. Il terapeuta pertanto concorda insieme al paziente uno schema di attività da svolgere durante la settimana cominciando da quelle che il paziente considera più gratificanti.

2) Far riaprire il paziente ai rapporti sociali

Una delle caratteristiche peculiari della depressione è la chiusura in se stesssi. Il paziente depresso infatti non provando più piacere nelle relazioni sociali tende ad evitarle. Il terapeuta pertanto aiuta il paziente a riavvicinarsi gradualmente agli altri nonostante nei primi tempi non provi soddisfazione ed interesse nel far ciò.

3) Allenare all’assertività

L’assertività è una qualità positiva che si esprime nei rapporti sociali e si basa sul contemporaneo rispetto di se stessi e degli altri; la persona assertiva cioè ha una buona dose di autostima ma è aperta, altruista, rispettosa e tollerante nei confronti degli altri. Continua a leggere

Benessere psichico & Altruismo

Penso che la mente umana sia meno complicata e ripiegata su se stessa di quanto la psicologia freudiana ci ha proposto. La psicoanalisi ha avuto il merito di porre l’attenzione sull’individuo, sui suoi bisogni e sofferenze ma poi è andata oltre il segno divenendo una sorta di fede indimostrabile e astrusa, irrealistica nella sua distanza dalle leggi biologiche che sono invece molto più dedicate alla conservazione della specie che dell’individuo. Un uomo che, per raggiungere la serenità, si concentri su se stesso come la psicoanalisi o altre filosofie consigliano, non raggiungerà mai alcuna pace. Continua a leggere

La cultura dello psicoterapeuta

Lo psicoterapeuta efficace non può avere solo una cultura tecnica relativa alla propria materia, la psicologia, ma una cultura globale. Per cominciare, deve conoscere la medicina e la farmacologia perché molte malattie del corpo, oppure farmaci e droghe, possono essere responsabili dei disturbi che il paziente lamenta: non sarebbe una bella figura se tenessimo in cura sei mesi una persona che lamenta astenia e depressione attribuendone la causa a traumi psicologici infantili ma scoprendo poi che soffre di ipotiroidismo, di insufficienza epatica, ha livelli molto bassi di vitamine del gruppo B oppure ha un disturbo neurologico incipiente.
Bisogna avere inoltre, gli strumenti scientifici per capire come e quanto le eventuali sostanze psicotrope assunte (anche le più comuni: alcol, nicotina, caffeina) interferiscono col funzionamento psichico, affettivo, comportamentale, sociale del paziente. Gli psicofarmaci, che con le droghe hanno molti punti in comune e troppo spesso oggi sono usati scorrettamente, possono diventare gli unici responsabili delle strane sofferenze per le quali le persone si rivolgono a noi: bisogna pertanto saperli togliere; talvolta però, divengono necessari e allora dobbiamo anche saperli prescrivere. Personalmente mi sento molto a disagio quando un paziente, con me, vuole fare solo la psicoterapia mentre per gli psicofarmaci lo segue lo psichiatra: con che animo mi accingo io, psicoterapeuta medico, a curare solo con le parole una depressione, sapendo che il mio paziente assume da diec’anni tre pastiglie di Tavor al giorno perché il suo psichiatra dice che così va bene? E se un altro arriva agitato, piangente e scopro che ha sospeso da poco l’antidepressivo, cosa faccio? Gli parlo dell’inconscio? Continua a leggere

“I tempi di Anika” di Ivo Andric (1892-1975)

Bel racconto di Ivo Andric, scrittore Serbo nato in Bosnia nel 1892. Fu scrittore (premio Nobel 1961), uomo politico e diplomatico, di vasta popolarità nel suo Paese.
Anika è ragazza di un piccolo e reale paese della Bosnia, Dobrun, che per qualche misterioso motivo, tra il bene e il male sceglie il male; sceglie cioè di acquisire potere e notorietà diventando “amica” degli uomini del Paese.
E con la protezione dei più influenti tra essi, che incanta con la sua misteriosa bellezza, colpisce chi la minaccia, la biasima, la critica divenendo di fatto invulnerabile di fronte ai detrattori e alla giustizia perché gli stessi preposti all’ordine pubblico subiscono il suo fascino e rimangono avvinti dalla sua compiacenza.
Esercita la prostituzione ma non chiede soldi e non si arricchisce. Perché lo fa? Perché, mentre le altre ragazze vivono sotto il sole costruendosi un futuro tra figli e famiglia lei vive nell’ombra, in una trincea, combattendo contro un nemico invisibile a tutti? Perché quella propensione naturale per ciò che è losco, proibito, malvagio?
Alle volte si diventa così per aver subito troppi torti quindi per rivalsa sulla famiglia, sulla società, sul mondo intero. Oppure perché alcune persone non hanno gli strumenti cognitivi per emergere nella vita ma, oppressi dall’urgenza interiore di non rimanere anonimi per l’eternità, scelgono il male come via più facile per attirare su di sé l’attenzione e il ricordo.
Comunque non va dimenticato che il padre di Anika era un omicida che ha ucciso un uomo con un bastone solo perché gli rubava un po’ di frutta dall’albero e la madre era una donna di dubbia salute mentale e intelligenza; il fratello di Anika, d’altra parte, era un gracile mentale.
Non mi dilungo oltre, se siete curiosi, leggete il racconto.

A. Mercuri

“Primo amore” di Ivan Sergeevič Turgenev (1818 – 1883)

Ho appena finito di leggere un breve racconto dello scrittore russo Ivan
Sergeevič Turgenev (1818 – 1883) intitolato Primo amore, capitatomi tra le mani per caso.

Mi hanno sorpreso la tensione affettiva e l’accoramento dell’Autore, l’emozione viva che sgorga dai temi della giovinezza, del corteggiamento, dell’attrazione, dell’eterno amore tra uomo e donna; il fascino di una giovane donna che, tra giocosa ingenuità e malizia, incanta gli uomini con la potente sapienza innata conferitale da una natura con lei generosa: una di quelle donne in grado di portare rinnovamento e scompiglio ovunque si spostino.
Racconto struggente, intriso di poesia, malinconia e rassegnazione al destino, ambientato nel paesaggio ameno della campagna russa dell’Ottocento dove la natura entra in magica risonanza coi sentimenti umani, li modella e dà ad essi limiti e senso.
Una storia raccontata tutta d’un fiato, bellissima e avvincente, rimasta fresca, intatta e attuale a distanza di centoquarant’anni dalla stesura: una storia, una melodia, una canzone della natura che oggi, tra condomini e traffico, non canta più nessuno.

A. Mercuri

Disturbo di panico: tra neurologia e stile di vita

L’attacco di panico è una condizione di ansia acuta, talmente intensa da risultare paralizzante. Normalmente, l’ansia provoca uno stato di allerta in cui l’individuo è pronto ad agire in qualche modo o scappando dal pericolo o affrontandolo. In ogni caso, conserva la propria autonomia.
Nell’attacco di panico invece, l’ansia è talmente intensa da paralizzare l’individuo, come chi, nella vita reale, si trova di fronte ad un evento talmente minaccioso per sé, grave e difficile da gestire, che non può far altro che bloccarsi e chiedere aiuto. Per questo, tipicamente, anche le persone abitualmente più forti e indipendenti rimangono annientate dall’attacco di panico perdendo l’autonomia ed essendo costrette a farsi soccorrere.
La caratteristica principale che rende l’attacco di panico così spaventoso è la sensazione che qualcosa di terribile stia accadendo proprio a se stessi, nel corpo (infarto, ictus) o nella mente (follia): come si vede, qualcosa di terribile, inevitabile, ingovernabile.
Ma perché alcune persone pur facendo una vita tranquilla li hanno e altre, anche se sottoposte a forti e prolungati stress, no?
La risposta è molto banale: perché alcuni ne sono costituzionalmente predisposti e altri no; è come chiedersi perché alcuni, pur facendo una vita tranquilla, vanno in depressione o hanno gli attacchi epilettici.
E che ci sia una costituzione predisponente al panico, ne è la prova anche la famigliarità di questo disturbo, che sovente è o era presente anche in qualche consanguineo.
In particolare, gli studi scientifici hanno dimostrato che, i soggetti predisposti agli attacchi di panico, hanno una costituzione “adrenalinica” cioè un ipertono adrenergico del Locus Coeruleus, un piccolo raggruppamento di neuroni localizzati nel tronco encefalico e Continua a leggere

Attacco di panico

Gli attacchi di panico o disturbo da panico, sono una classe di disturbi d’ansia caratterizzati da intensi stati di ansia accompagnati da altri sintomi psicologici e somatici.

Rappresentano uno dei più comuni disturbi psichiatrici e costituiscono un fenomeno sintomatologico complesso e piuttosto diffuso (si calcola che 10 milioni di italiani abbiano subito uno o più attacchi di panico).

Il disturbo di solito esordisce nella tarda adolescenza o nella prima età adulta ed ha un’incidenza due a tre volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini.

Non è infrequente che tale disturbo non venga riconosciuto dal paziente e di conseguenza non venga trattato. La terapia è sia di tipo psicologico che, nei casi più gravi, di tipo farmacologico a base di antidepressivi e ansiolitici benzodiazepinici. La maggior parte delle persone guarisce mentre una minoranza sviluppa invece un disturbo da recidiva di attacchi di panico. Continua a leggere

Consigli salutari….

Cari utenti, ecco che cosa la Bayer, famosa Casa Farmaceutica, si premura di distribuire nelle farmacie in questi giorni…Leggetelo! Ricordo che la Bayer è la produttrice del Minias, una benzodiazepina che tanti dolori ha provocato nelle persone, essendo la benzodiazepina che più facilmente irretisce nella tossicodipendenza.