Green Pass, un doloroso ricatto

Cari lettori che scegliete di non vaccinarvi,
se la prospettiva nefasta della perdita del lavoro vi ha fatto ammalare emotivamente, non prendete psicofarmaci in silenzio: fatevi visitare da un medico e fatevi rilasciare una dichiarazione sulla sussistenza del rapporto di causa-effetto tra l’ignobile minaccia di perdere il lavoro e il vostro crollo emotivo: potrete sempre usare tale documento in seguito se, con l’aiuto di un legale, farete ricorso contro il ricatto del green pass chiedendo allo Stato un risarcimento morale e materiale. 
Sembra infatti che diversi milioni di italiani rifiutino il vaccino e perdano pertanto il lavoro ( farsi un tampone ogni due giorni è impensabile). Ho avuto modo di cogliere in tali persone un’attonita disperazione, presi come sono tra l’incudine del rischio vaccinale (oltre all’umiliazione di cedere ad un ricatto) e il martello della povertà che segue la perdita dello stipendio.
E’ orribile quanto sta succedendo, ci sono molte persone che a causa del dilemma stanno vivendo nel dolore, nella disperazione, hanno perso sonno e voglia di vivere. E tutto questo soltanto perché il governo italiano non adotta l’onesta strategia del: “Si vaccini chi vuole”. Tanto più disonesto è il ricatto che i nostri governanti hanno messo in atto poiché la ratio del provvedimento è traballante, non ha solide basi scientifiche, in quanto:

  • I dati provenienti dall’Irlanda dove il 100% della popolazione è vaccinato, indicano che il virus ha rialzato la testa e ha ricominciato ad infettare le persone
  • Ci sono solide teorie secondo le quali sarebbe proprio il vaccino a provocare l’affermarsi di varianti sempre più pericolose pertanto il principio di precauzione vorrebbe cautela e selettività nel vaccinare.
  • Le segnalazioni di danni alla salute dopo il vaccino hanno subito ultimamente un’impennata secondo i dati AIFA
  • Si parla addirittura di una maggiore contagiosita’ multifattoriale dei vaccinati che renderebbe insensata e anzi dannosa una vaccinazione di massa.

L’unico dato a favore della vaccinazione che sembra certo è che sopra i cinquant’anni, il vaccinato si ammala in modo più lieve del non vaccinato. Ma allora perché ostinarsi a raggiungere la fine della pandemia con la famosa immunità di gregge (che, data la natura imperfetta degli attuali vaccini non raggiungeremo mai) e non si dice invece con onestà: “Consigliamo caldamente a tutte le persone di età avanzata o con patologie di vaccinarsi mentre statisticamente per i giovani sani il vaccino è superfluo se non dannoso”?
Un caro saluto a tutti,
A. Mercuri

 

Utilità biologica & Utilità sociale

La Natura non consente agli esseri umani di vivere con gioia pensando solo al benessere personale ma da essi pretende un contributo alla salvaguardia e alla prosecuzione della specie cui appartengono; tale contributo, prevede la procreazione di nuovi individui (altruismo biologico) e/o la partecipazione al buon funzionamento della comunità di cui si fa parte (altruismo sociale).

Questo va tenuto ben presente quando si è giovani e alle volte sembra che i figli siano un impiccio; viviamo in una societa’ edonistica, orientata al soddisfacimento immediato dei bisogni personali, con principi morali sempre più annacquati: in tale contesto, i figli possono essere sentiti come una fatica, come un impedimento alla gioia, una zavorra dispendiosa che costringe a sacrificare molti desideri personali oltre a rovinare un po’ la silhouette della donna e il sonno di entrambi.

La sensazione che senza prole si viva in modo più agiato è uno dei tanti inganni delle società opulente che paradossalmente fanno meno figli delle comunita’ povere pur avendo maggiori mezzi economici per mantenerli. Tuttavia, molte coppie poi si pentono di non aver procreato quando potevano e purtroppo se ne accorgono quando ormai di figli non possono più averne.  La noia di vivere, la tristezza e la sensazione che la vita non abbia più senso sono sentimenti che possono comparire con l’avanzare dell’età e accompagnano i risvegli di molte persone senza figli: la necessità di procreare è profondamente radicata nei nostri geni perché è l’elemento su cui si basa la prosecuzione della vita sulla terra e quindi la procreazione è protetta da potenti automatismi psicologici che ci invogliano ma anche ci costringono al suo espletamento pena un senso di incompletezza e inutilità. I figli prima e i nipoti poi, danno un senso profondo sia all’individuo che alla coppia perché nei piani della Natura, costituiscono il principale scopo della prolungata convivenza tra uomo e donna, un cardine su cui può ruotare per decenni l’interesse reciproco di due persone conviventi che trovano continuamente nel mantenimento e nell’educazione della prole un senso di necessità al vivere comune. Continua a leggere

Antidepressivi: Quando e Come usarli

Gentili utenti, pubblico qui la traduzione dall’inglese dei paragrafi più interessanti del fondamentale articolo sull’uso razionale degli antidepressivi scritto  dallo psichiatra-psicoterapeuta italiano ma di fama mondiale, Giovanni Fava. Se potete, leggete direttamente l’articolo originale in inglese ( PDF dell’articolo originale); se no, leggetene la traduzione che, data l’importanza dell’argomento, ho fatto per facilitarvene la lettura. In marroncino e tra parentesi ci sono miei commenti e chiarimenti. 

Rational Use of Antidepressant Drugs 

Giovanni A. Fava (Affective Disorders Program, Department of Psychology, University of Bologna,  Department of Psychiatry, State University of New York at Buffalo N.Y. , USA). Psychother. Psychosom. (2014)

1) Tolleranza e sue differenti espressioni
Molti fenomeni clinici son stati documentati durante il trattamento con antidepressivi a) perdita di efficacia antidepressiva, b) tachifilassi, c) resistenza, d) effetti paradossi, e) passaggio verso una forma bipolare e f) reazioni da sospensione.

a) Perdita di efficacia

La prevalenza (percentuale) di un ritorno di sintomi depressivi durante il trattamento con farmaci antidepressivi era del 9-57% nelle ricerche pubblicate indicando l’esistenza di fenomeni di tolleranza durante il trattamento (la tolleranza ad una data sostanza è una sorta di abitudine che porta alla perdita di efficacia del trattamento pur rimanendo le dosi di farmaco invariate; la percentuale varia dal 9 al 57% e questo disorienta ma il motivo è che più aumenta il tempo di osservazione, più alta diventa la percentuale di pazienti che ricadono. Se si guarda cioè quanti ricadono nella depressione dopo solo 6 mesi di trattamento, forse si trova un 5% ma se ci fossero studi –  non ci sono perchè non conviene farli – che guardassero quanti ricadono dopo 5 anni, probabilmente si troverebbe una percentuale del 95%). Questa (la percentuale di ricadute) aumenta con la durata del trattamento; in una meta-analisi riguardante studi di mantenimento, questo rischio di ricaduta progressivamente aumentava dal 23% entro 1 anno, al 34% entro 2 anni fino al 45% entro 3 anni. (pensate dunque che già dopo 3 anni un antidepressivo non funziona più nella metà dei casi!). Il termine “tachifilassi” (la progressiva decrescita nella risposta ad una data dose dopo la ripetuta somministrazione di una sostanza fisiologicamente o farmacologicamente attiva) è stato anche usato per designare la ricaduta durante il trattamento di mantenimento o il deterioramento clinico caratterizzato da sintomi come apatia e astenia. (in ambito divulgativo, si può assumere che  tachifilassi e tolleranza siano sinonimi). Continua a leggere