In questa sezione del sito, cercherò di fornire le informazioni più rilevanti sugli effetti degli psicofarmaci.

Paroxetina, un potente antidepressivo

Paroxetina è una molecola antidepressiva con una potente azione serotoninergica, paragonabile solo a quella della clomipramina (Anafranil). Possiede inoltre deboli azioni noradrenergica e anti-colinergica: quest’ultima tuttavia è debole ma non trascurabile se il paziente è particolarmente sensibile alla stipsi, alla ritenzione urinaria o ha problemi di ipertensione dell’occhio oppure è anziano e con funzione cognitiva in declino (gli anticolinergici peggiorano le prestazioni cognitive). Certamente è un antidepressivo efficace ma ha diversi effetti collaterali in comune con gli altri inibitori della ricaptazione però accentuati, forse per la sua peculiare potenza serotoninergica. Ad esempio, paroxetina dà molto frequentemente disturbi sessuali in entrambe i sessi, nel maschio soprattutto orgasmo ritardato, diminuzione del desiderio e scarsa erezione, nella donna calo del desiderio, scarsa lubrificazione e disturbi dell’orgasmo. A questo proposito, c’è una curiosità: Paroxetina è in grado di stimolare i recettori per gli estrogeni e di innalzare pertanto la prolattina (cose non positive per i maschi ma nemmeno per le donne con tendenza al tumore della mammella ormone-sensibile); paroxetina ha inoltre nei maschi un’azione inibitoria particolarmente accentuata sulla produzione locale di ossido nitrico (NO), piccola molecola vasodilatatrice essenziale all’erezione, la cui produzione viene invece incrementata da Viagra e simili.

Ancora, paroxetina dovrebbe essere vietata in gravidanza perché compromette la corretta formazione degli organi del nascituro, in particolare cuore e cervello: a parte i difetti cardiaci, paroxetina sembra essere implicata in alcuni casi di neuro-tossicità che portano ad anomalie del neuro-sviluppo e di conseguenza a patologie neuropsichiatriche come autismo, ADHD, schizofrenia e altro; è stato visto infatti di recente utilizzando parti di cervello create in laboratorio (organoidi) (3) che paroxetina assunta da una madre in gravidanza compromette particolarmente la mielinizzazione degli assoni e la formazione dei collegamenti tra i neuroni (sinaptogenesi) cose essenziali per una corretta maturazione fetale del cervello. Ancora, il metabolismo di paroxetina impegna e rende quindi meno efficienti gli enzimi epatici preposti alla degradazione di alcuni farmaci oltre che dei cancerogeni; ad esempio è vietata l’assunzione contemporanea di paroxetina e Tamoxifene (si usa questo per evitare le recidive di cancro della mammella) perché paroxetina rallenta l’attivazione metabolica epatica di Tamoxifene rendendo la cura antitumorale poco efficace. Inoltre, la lenta disattivazione di alcuni cancerogeni, l’azione estrogeno-simile e l’innalzamento della prolattinemia sono forse responsabili della maggiore incidenza di cancro della mammella (6 volte più frequente) notata nelle donne che assumano paroxetina da più di 4 anni; alle donne poi che abbiano in famiglia casi di tale neoplasia, paroxetina non deve essere prescritta. A questo proposito, troverete recenti articoli scritti da oncologi, chimici e biologi molecolari (1) in cui si esalta la teorica proprietà antitumorale di paroxetina; tali studi sono sicuramente molto interessanti ma non possono rovesciare la realtà clinica che, all’opposto, parla di aumentata incidenza di cancro della mammella con paroxetina, come sopra riferito. (2)

Altre peculiarità di paroxetina sono la sua affinità per i recettori degli oppioidi, la grande difficoltà di interromperne l’uso, l’aumentata incidenza di ipertensione gravidica, la tendenza a far ingrassare e a dare piattezza affettiva e demotivazione. Ancora, negli adolescenti, può aumentare l’aggressività, portare acatisia o aumentare la probabilità di suicidio (quello dei possibili danni agli adolescenti, è stato motivo di una pesante condanna per la casa produttrice che sapeva ma ha insabbiato i risultati). Ancora, paroxetina, oltre alla fertilità femminile abbassa anche quella maschile danneggiando il DNA degli spermatozoi e diminuendone la motilità (anche la compromissione dell’attività sessuale gioca la sua parte). Molti degli effetti collaterali su riferiti sono posseduti da tutti gli SSRI ma per paroxetina sono particolarmente intensi. In comune con gli altri SSRI ricordiamo anche il maggior rischio di diabete, di sanguinamento soprattutto gastrico, di ipo-sodiemia soprattutto se in associazione con certi diuretici e la maggior incidenza di osteoporosi.

(Molti dei dati su riportati sono tratti dagli articoli:

(1) “Paroxetine—Overview of the Molecular Mechanisms of Action” di Magdalena Kowalska e altri, Int. J. Mol. Sci. 2021

(2) “Paroxetine-The Antidepressant from Hell? Probably Not, But Caution Required” di Robert M Nevels e altri, Psychopharmacol Bull 2016

(3) “Antidepressant Paroxetine Exerts Developmental Neurotoxicity in an iPSC-Derived 3D Human Brain Model” di Xiali Zhong e altri, Front Cell Neurosci. 2020 Feb 21).

A. Mercuri

Venlafaxina: funziona, ma forse c’è di meglio

Venlafaxina è una molecola antidepressiva pubblicizzata come SNRI cioè con doppia azione sia serotoninergica che noradrenergica ma in realtà la sua potenza come noradrenergico è tanto bassa da essere apprezzabile solo al dosaggio di 225 mg/die. In realtà anche come serotoninergico venlafaxina ha un’azione debole, debolissima se confrontata con i potenti clomipramina (Anafranil), paroxetina o sertralina. Si possono escludere altre azioni di rilievo come quella anticolinergica, antiadrenergica e antistaminica e questo se da un lato può essere un vantaggio per i minori effetti collaterali dall’altro rende la molecola meno potente (l’effetto anticolinergico centrale rinforza l’effetto antidepressivo delle molecole, vedi Anafranil) e meno versatile perché non dotata di effetti ansiolitico e ipnotico-sedativo. Inoltre l’effetto serotoninergico puro di venlafaxina potrebbe spiegare la sua, almeno iniziale, azione irritante sull’apparato digerente (soprattutto nausea) dove la serotonina gioca un ruolo eccitatorio.

Dobbiamo ricordare il 75% circa di venlafaxina viene metabolizzata dal fegato a desvenlafaxina (di cui ora si è fatto un farmaco, il Faxilex) che ha un’azione antidepressiva teorica più marcata della molecola madre essendo 2 volte circa più potente  come serotoninergico e 4 volte più potente come noradrenergico ma tuttavia restando un antidepressivo debole confrontato con altre molecole note (paroxetina, duloxetina, clomipramina, sertralina).

Ancora, un aspetto negativo di venlafaxina è la sua brevissima emivita; questo problema è stato ovviato tempo fa creandone la formulazione a rilascio prolungato da 37,5 o da 75 mg. Tali capsule o compresse però hanno lo svantaggio di non poter essere divise (pena la perdita dell’effetto a lento rilascio) il che rende difficoltoso sia l’inizio che la fine graduale della terapia. Esiste comunque una formulazione liquida di venlafaxina denominata Zaredrop con la quale si può iniziare e terminare la terapia con gradualità ma il problema è che non essendo a rilascio prolungato, va assunta almeno in 2 volte al giorno e comunque tra una dose e l’altra possono comparire sintomi di astinenza.

A. Mercuri

Faxilex, un nuovo antidepressivo che c’era già

Faxilex (desvenlafaxina) è un antidepressivo a doppia azione (serotoninergica e noradrenergica) messo assai recentemente sul mercato (2022): si può dunque dire che sia l’ultimo nato, almeno in Italia, essendo stato il precedente, Brintellix, immesso nel 2014. Desvenlafaxina, è un prodotto di degradazione epatica della più nota e antica venlafaxina ( Efexor, Zarelis, ecc.), in gergo si dice che ne è un metabolita, che è stato estratto e trasformato esso stesso in farmaco. In realtà, di potrebbe dire che desvenlafaxina è il cuore, la parte migliore della venlafaxina poichè ha un effetto serotoninergico di potenza doppia e noradrenergica di potenza quadrupla rispetto al genitore venlafaxina. Infatti il dosaggio sufficiente ad esplicare effetto antidepressivo sembra essere più basso (vengono consigliati 50 mg/die mentre di venlafaxina solitamente se ne usano 75-150 mg). Il vantaggio di assumere questo farmaco piuttosto del progenitore dunque ci sarebbe, perchè più potente e soprattutto più ben bilanciato tra effetto serotoninergico ed effetto noradrenergico; tuttavia ci sono alcuni svantaggi: 1) Sembra essere meno efficace del progenitore 2) Non c’è la formulazione liquida quindi quando cominci devi farlo con 50 mg e quando lo sospendi sei costretto a fare un salto da 50 a 0 di colpo o ad ingegnarti con assunzioni sempre più distanziate perchè la compressa è a rilascio prolungato e non deve essere divisa (di venlafaxina invece esiste la formulazione liquida che si chiama Zaredrop). Io noto come le prescrizioni di Faxilex stiano progressivamente aumentando mentre quelle del precedente Brintellix stiano diminuendo ma non mi sembra che Desvelafaxina possa dirsi un antidepressivo innovativo poichè va ricordato che chi assume venlafaxina assume già desvelafaxina che ne è un prodotto di degradazione: il 70% di venlafaxina infatti viene convertito nel nostro organismo in desvenlafaxina. Dove sta dunque la novità? E che senso ha proporre questo antidepressivo come “nuovo” dal momento che nuovo non lo è per nulla?

Angelo Mercuri

Teanina, un ansiolitico nel tè

La Teanina è una sostanza naturale normalmente presente nel tè che viene estratto dalla pianta Camellia Sinensis. Teanina ha prevalentemente proprietà anti-stress psico-fisico, ansiolitiche e migliorative del sonno e questo effetto sembra dovuto alla sua capacità di aumentare il livello di dopamina e di GABA, di inibire l’attività eccito-tossica del glutammato e di favorire laliberazione di BDNF, fattore di crescita dei neuroni che favorisce il trofismo del cervello, soprattutto dell’ippocampo, struttura importante per ansia, umore e memoria ma molto vulnerabile. Gli studi scientifici hanno dimostrato:

  • una buona efficacia di Teanina nella schizofrenia (certamente in abbinamento ai comuni psicofarmaci antipsicotici, non da sola)
  • nei disturbi dell’attenzione soprattutto quando associata alla caffeina
  • nei disturbi del sonno soprattutto in associazione al magnesio.

Teanina è priva di tossicità anche se assunta per periodi prolungati e non ha incompatibilità con altri farmaci.

A. Mercuri

Iperico: un efficace antidepressivo, non una innocua tisana

Iperico è una pianta che ha la sua massima fioritura il 24 giugno, giorno di commemorazione della nascita di San Giovanni Battista e per questo è detto anche erba di San Giovanni; o “scacciadiavoli”, termine popolare per designare la sua proprietà, nota da secoli, di scacciare malumore e pensieri negativi.  Effettivamente, l’uso continuativo per qualche settimana dell’estratto di tale pianta provoca una condizione di maggiore serenità, date le sue proprietà ansiolitiche e antidepressive. Ma rispetto ai comuni antidepressivi funziona davvero o è come paragonare la camomilla al Tavor? No, funziona davvero soprattutto se la depressione è lieve o mederata. D’altra parte, sembra che il meccanismo d’azione complessivo del succo di tale pianta (costituito da vari principi attivi) sia simile a quello dei comuni antidepressivi di sintesi e cioè inibisce la ricaptazione della serotonina; ma non solo di quella perché iperico non è molto selettivo aumentando quindi anche la concentrazione sinaptica di noradrenalina, dopamina, glutammato e GABA.  Insomma, sembrerebbe fare ancor meglio delle note molecole di laboratorio come sertralina, citalopram, clomipramina, venlafaxina, ecc.  E non mancano studi seri, prodotti da scienziati, che considerano l’efficacia di Iperico addirittura superiore a quella dei comuni antidepressivi perfino nella depressione maggiore.

Attualmente Iperico è considerato un efficace antidepressivo per depressioni lievi o moderate ma la nota più importante è questa: Iperico è uno psicofarmaco quindi, che sia necessaria o meno la ricetta per ottenerlo, deve essere un medico a prescriverlo e a controllarne periodicamente gli effetti terapeutici e collaterali. Questo perché gli effetti collaterali sono simili a quelli dei comuni antidepressivi (ansia, insonnia e disturbi gastrointestinali all’inizio del trattamento; disturbi sessuali durante il trattamento) sebbene siano di intensità nettamente inferiore. Va però aggiunta una caratteristica negativa di Iperico e tutta sua, che i comuni antidepressivi non hanno: rende più rapido lo smaltimento di alcuni altri farmaci presi in contemporanea, diminuendone l’efficacia, cosa che può risultare pericolosa nel caso di pillola anticoncezionale, fluidificanti del sangue, immunosoppressori, farmaci anti HIV e altri.

Concludendo:

Vantaggi.

  • Iperico è una pianta quindi il suo utilizzo è più gratificante sul piano psicologico rispetto ad una molecola costruita in laboratorio, ma non solo: come in tutti i prodotti fitoterapici, vi è un gran numero di principi attivi che contribuiscono al risultato finale in un concerto armonioso preparato dalla natura che entra meglio in risonanza con la fisiologia del corpo umano rispetto ad un proiettile chimico creato in provetta
  • Gli effetti collaterali di Iperico sono in genere simili ma nettamente inferiori a quelli dei comuni antidepressivi

Svantaggi.

  • Può dare interazioni rilevanti con le terapie concomitanti

In ogni caso, alcune raccomandazioni:

  • Iperico è uno psicofarmaco
  • Prima di assumere Iperico rivolgetevi sempre ad un medico
  • Assumete sempre preparazioni di Iperico di marca nota e seria nelle quali siano chiaramente specificati i principi attivi, il loro dosaggio e il metodo di estrazione

BIBLIOGRAFIA: Risk assessment of herbal preparations containing St John’s wort RIVM report 2019-0115 L. de Wit | S. Jeurissen | W. Chen

A. Mercuri

Moclobemide, un raro antidepressivo che migliora la sessualità

Moclobemide (Aurorix in Italia) è un antidepressivo inibitore selettivo dell’enzima MAO-A che degrada serotonina, noradrenalina, adrenalina melatonina e dopamina quindi accresce la concentrazione di questi neurotrasmettitori in sede sinaptica e non agisce dunque, come fanno i comuni antidepressivi attualmente in uso (triciclici ed SSRI), inibendo la pompa di ricaptazione di serotonina e al più di noradrenalina. Il risultato comunque è simile per quel che riguarda serotonina e noradrenalina, ma con una differenza importante: Moclobemide fa aumentare anche la concentrazione sinaptica della dopamina, neurotrasmettitore fondamentale per un’equilibrata azione antidepressiva che rispetti anche la sessualità e questo spiega uno dei più importanti motivi per cui andrebbe probabilmente usato come primo farmaco in caso di reali depressioni e non come una scorta da tenere in una bacheca che non si apre mai.

In Italia purtroppo da diversi anni non  viene più prodotto pur essendo un efficace antidepressivo con effetti collaterali nettamente inferiori agli antidepressivi attualmente in uso mentre è usatissimo in molti altri Paesi europei quindi è facilmente reperibile nelle varie farmacie che importano farmaci esteri.

Perché Moclobemide non è più prodotto in Italia? 

Perché era poco usato ma non per scarsa efficacia bensì perché è un I-MAO e nella mente del medico questo è associato a crisi ipertensive, tossicità epatica e restrizioni alimentari da raccomandare al paziente

Per Moclobemide nulla di tutto questo perché oltre ad inibire selettivamente una sola delle due MAO, il legame con la MAO A si dissolve rapidamente, nell’arco di 24 ore dopo un uso prolungato, mentre i precedenti I-MAO che tanta paura ancora incutono, oltre ad inibire entrambe le MAO vi si legano in modo irreversibile: ci vogliono 15 giorni perché il complesso tra uno dei precedenti I-MAO ormai non più usati (tranilcipromina e fenelzina) si dissolva e le MAO A e B si rigenerino pulite. Da questa non selettività e soprattutto dalla irreversibilità del legame, deriva la potenziale pericolosità dei vecchi I-MAO (Fenelzina e Tranilcipromina)

Ancora:

Moclobemide agisce più velocemente dei comuni antidepressivi, in media già dopo una settimana;

Non ha effetto anticolinergico (stipsi, bocca secca, possibile difficoltà di minzione, disturbi visivi o controindicazione assoluta nel caso di glaucoma ad acuto) né antistaminico (sonnolenza) come hanno i triciclici a dosaggio medio.

E’ più sicuro nei cardiopatici e negli anziani

Lungi dal provocare disturbi sessuali, migliora la sessualità nel paziente depresso.

Un’importante avvertenza, però: chi sta assumendo un triciclico o un SSRI deve sospenderlo gradualmente e lasciare passare alcuni giorni prima di cominciare l’uso di Moclobemide per evitare pericolose sovrapposizioni di effetto soprattutto sul potenziamento della trasmissione serotoninergica.

Per questo, forse, Moclobemide meriterebbe di essere usato come farmaco di prima scelta in quanto, se eventualmente poco efficace si può passare ai comuni Triciclici o SSRI già dopo 24 ore mentre non vale il contrario.

Un grande saluto ai miei lettori,

A. Mercuri

 

 

 

 

Psicoplastogeni e Depressione

Il termine psicoplastogeni è stato coniato di recente per designare sostanze in grado di rimodellare la psiche. In modo permanente? Questo non lo sappiamo ma si presume, a buon senso, di no. Cioè probabilmente tali sostanze esercitano il loro effetto plastico sul cervello fin che le assumi ma una volta sospese, lentamente, la propria genetica e il proprio ambiente tornano a prendere il sopravvento.

Quali sono dunque tali sostanze e che effetto danno? Sono stranamente delle droghe, almeno finora considerate e usate come tali, alcune naturali (funghi allucinogeni) altre di sintesi: Ketamina ed Esketamina, LSD, Psilocibina, Mescalina, DMT (Dimetiltriptamina), MDMA (Ecstasy) tutte dotate di alcune caratteristiche: sono piccole molecole; provocano psicosi con allucinazioni; hanno effetto antidepressivo e ansiolitico pressochè immediato; l’effetto di una sola somministrazione su umore e ansia dura da una settimana (Ketamina) ad un mese (Psilocibina) e questo consente un uso saltuario gravato quindi da meno effetti tossici; non sembra disturbino la sessualità.

E’ solo da qualche anno che gli scienziati hanno cominciato ad interessarsene nel tentativo di trovare una alternativa alle tradizionali terapie antidepressive che sfruttano la ricaptazione di serotonina e noradrenalina; le attuali terapie infatti hanno alcuni punti deboli: ci impiegano diverse settimane a funzionare; in un 30% di depressioni gravi non funzionano; all’inizio della terapia e per 7-15 giorni possono  aumentare l’ansia, l’insonnia e generare disturbi digestivi; spessissimo provocano disturbi sessuali in entrambe i sessi e in qualche caso sembra che tali disturbi regrediscano assai lentamente al cessare della terapia; danno forte dipendenza per cui se presi a lungo e con successo risulta poi molto difficile interromperne l’uso; in ogni caso funzionano al massimo per qualche anno poi anche aumentandone la dose l’effetto iniziale non si ripristina.

Gli psicoplastogeni, con meccanismi d’azione differenti, convergono comunque tutti sulla capacità di attivare la produzione e la secrezione di neurotrofine ed in particolare di BDNF, il principale “concime” dei neuroni che ne facilita la replicazione (ove possibile tipo nell’ippocampo) o almeno li nutre favorendo la formazione di nuove sinapsi (neuroplasicità). E questo rinfoltimento delle sinapsi avviene prevalentemente nella regione maggiormante implicata nella genesi e mantenimento dei disturbi mentali: la corteccia prefrontale.

Gli sforzi degli scienziati, come si intuisce, sono attualmente concentrati sulla sintesi di psicoplastogeni che abbiano effetto terapeutico antidepressivo e ansiolitico ma non allucinogeno. Sembra infatti che tali piccole molecole, per esercitare il loro effetto duraturo su umore e ansia, non abbiano bisogno di provocare psicosi con esperienze mistiche e allucinazioni.

Il prototipo di psicoplastogeno è la Ketamina che soprattutto nella formulazione spray nasale esketamina, sta dando promettenti risultati nella depressione anche se rimangono aperti alcuni interrogativi dovuti alla poca esperienza clinica.

A. Mercuri

 

Antidepressivi serotoninergici (SSRI) e disfunzione sessuale persistente

Aggiornato al 29 /11/24

La disfunzione sessuale post-SSRI (Post-SSRI Sexual Dysfunction, PSSD) è una patologia causata dagli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina SSRI ed è caratterizzata da disfunzioni sessuali ed emotive che solitamente insorgono già durante l’assunzione del farmaco (vedi il mio articolo “Sessualità e antidepressivi“) e persistono per un tempo indefinito dopo la sospensione. Può, più raramente, comparire solo alla sospensione del trattamento.
Al di là del nome, la patologia non consiste solo in un insieme di sintomi che colpiscono la sfera sessuale ma è solitamente caratterizzata da una più ampia difficoltà a provare piacere ed emozioni in genere, di cui i disturbi sulla sessualità sono solo i riflessi più evidenti.
I sintomi più comuni, che possono essere presenti contemporaneamente o singolarmente, sono:

  • Assenza o riduzione della libido cioè dell’attrazione sessuale, delle fantasie e dei sogni a sfondo sessuale.
  • Perdita o diminuzione della risposta fisica agli stimoli sessuali.
  • Anestesia tattile e termica delle aree genitali (pene, vagina e talvolta anche capezzoli).
  • Disfunzione erettile negli uomini, diminuita congestione e lubrificazione genitale nelle donne.
  • Incapacità o difficoltà a raggiungere l’orgasmo (anorgasmia) o eiaculazione precoce, sindrome da eccitazione sessuale persistente nelle donne (PGAD), una condizione in cui l’eccitamento sessuale è come irritativo ma non è accompagnato da desiderio sessuale.
  • Anedonia orgasmica: può permanere la sensazione dell’orgasmo associata alle contrazioni muscolari ma senza provare piacere.
  • Ottundimento emotivo ed anedonia: può essere diminuita la capacità di provare emozioni (sia positive che negative, può risultare ad esempio difficile piangere o provare “sensazioni forti”), sensazioni edoniche in genere e di legame emotivo, può venire meno il desiderio di intimità di coppia; possono essere presenti apatia, mancanza di motivazione e di stimolo di fare, diminuita la capacità creativa. Musica, hobby o attività prima coinvolgenti possono non risultare più particolarmente attraenti o gratificanti;
  • Riduzione della viscosità e del volume dello sperma;

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Ansia cronica debilitante (GAD): Benzodoazepine, Antidepressivi o Lyrica?

Sempre più persone nel mondo e per ovvi motivi soffrono di ansia cronica (definita ansia generalizzata o GAD) che, se leggera, può essere una condizione sopportabile che spinge all’attività, all’impegno e alla competizione ma se è forte può portare a paralisi dell’attività e depressione. In tale secondo caso dunque urge provvedere. Ci sono in generale tre opzioni terapeutiche farmacologiche: benzodiazepine; 2) antidepressivi; 3) pregabalin (Lyrica). Continua a leggere

Amantadina per i disturbi sessuali da antidepressivi

Uno dei più fastidiosi e debilitanti effetti collaterali dell’uso di antidepressivi serotoninergici è la compromissione dell’attività sessuale sia nell’uomo che nella donna, effetto assai comune che riguarda, seppur con intensità variabile, la maggior parte dei pazienti e il più delle volte insorge già nei primi giorni di cura persistendo poi per tutta la durata del trattamento (anche se vi sono casi fortunati in cui si attenua e scompare col tempo).

La sessualità si compone di tre fasi: 1) desiderio, 2) eccitamento genitale e 3) orgasmo

  1. Desiderio: per il desiderio sessuale molto importante è la corteccia cerebrale limbica, tenuta accesa dai lunghi prolungamenti assonici dei neuroni meso-limbici dopaminergici (lunghi neuroni che hanno il corpo cellulare nel tronco encefalico e allungano i loro prolungamenti dendritici fino alla corteccia limbica). La dopamina dunque accende e mantiene la libido mentre la serotonina, attivando i propri recettori 5HT-R2, abbassa il tono dopaminergico della corteccia limbica spegnendo la libido.
  2. Eccitamento ed erezione: il tono della corteccia limbica è importante sia per il desiderio che per l’eccitamento sessuale (erezione nel maschio, inturgidimento del clitoride e lubrificazione vaginale nella donna) quindi l’azione inibitoria della serotonina su tale regione cerebrale comprometterà anche l’eccitamento; la serotonina inoltre esercita un’azione inibitoria sui rilessi sensitivo-motorii viscerali spinali preposti alla vasodilatazione nel pene e nel clitoride. L’eccesso di serotonina poi, a livello d’organo, rallenta il rilascio del vasodilatatore ossido nitrico, fondamentale per l’inturgidimento dei tessuti erettili (azione esattamente opposta a quella di Viagra e simili)
  3. Orgasmo ed eiaculazione: la serotonina in eccesso può provocare anorgasmia in entrambe i sessi attraverso: 1) Iper-stimolazione dei propri recettori 5HT-R2 e conseguente inibizione, a vari livelli del sistema nervoso, della trasmissione dopaminergica e noradrenergica; 2) Alterazione dei riflessi spinali autonomici simpatici e parasimpatici che alternandosi con esatto tempismo regolano finemente orgasmo ed eiaculazione.

Vedi anche:

Sembra dunque che sia principalmente l’eccesso di serotonina indotto dagli antidepressivi a provocare un calo di attività dopaminergica in certe regioni del sistema nervoso, responsabile poi di tutti i disturbi sessuali provocati da tali farmaci. I farmaci ad azione dopaminergica possono quindi ripristinare il perduto equilibrio tra serotonina e dopamina alterato dall’eccesso di serotonina; questo senza nulla togliere all’efficacia antidepressiva della cura di base anzi, potenziandola con un aumento di iniziativa, motivazione e senso del piacere che solo la dopamina può dare.

A questo proposito va notato che i comuni antidepressivi potenziano i circuiti serotoninergici (SSRI) o tutt’al più serotoninergici e noradrenergici (SNRI) ma purtroppo non potenziano i circuiti dopaminergici che sono fondamentali per il senso del piacere anzi, tendono a smorzarli; forse è per questo che non sempre gli antidepressivi funzionano, soprattutto nelle persone ormai abituate all’assunzione di tali molecole: in tali casi, l’aggiunta di un farmaco dopaminergico non solo migliora la sessualità ma può innescare o potenziare un’azione antidepressiva assente o insufficiente.

Tra i dopaminergici in uso e con pochi e blandi effetti collaterali vi è l’amantadina (Mantadan), utilizzata inizialmente come farmaco antivirale e poi come farmaco antiparkinsoniano (il morbo di Parkinson è caratterizzato da un calo di tono dopaminergico in certe regioni del cervello). Più recentemente l’amantadina è stata apprezzata come adiuvante nella terapia antidepressiva qualora i comuni antidepressivi da soli non funzionino.

Certamente l’eventuale aggiunta di Amantadina sia come potenziatore di una terapia antidepressiva insufficiente sia come correttore dei disturbi sessuali va ponderata da un medico che conosca bene tale molecola perché vi sono alcune condizioni o patologie incompatibili col suo utilizzo. 

Bibliografia:

Ibrahim A. Abdel-Hamid et a. (2016) The drug treatment of delayed ejaculation

A. Mercuri