Curare la mente con la cultura: BIBLIOTERAPIA

Donne Sopra

Vent’anni dopo My secret garden” (1973), Nancy Friday scrisse “Women on Top (1992), testo che nuovamente da voce alle donne sul tema fantasie sessuali.  Le donne sono ora più sicure di sè; rispetto alle timide, titubanti ammissioni dei primi anni settanta si esprimono adesso con disinvoltura, con meno sensi di colpa ed è interessante notare come siano orientate verso fantasie  più ‘virilizzate’ da vent’anni di emancipazione iniziata col femminismo in modo rivoluzionario e proseguita più pacatamente con l’acquisizione di alcuni pari diritti con gli uomini: soldi propri, lavoro, potere: e, di conseguenza, con l’acquisizione di fantasie più aggressive e di dominio, anche sul maschio.

Bella è anche l’introduzione dell’autrice “Report From The Erotic Interior”, che esprime un pensiero tipico degli anni settanta: non più condivisibile oggi in toto, ma comunque denso di spunti ancora attuali e interessanti. Buona lettura!

Testo del libro originale: Women on top

A. Mercuri

Immaginario sessuale femminile

Nancy Friday è stata una donna intelligente e colta che per prima, in piena rivoluzione sessantottina, ha dato voce alle donne sull’argomento sesso, permettendo loro di cominciare timidamente ad avanzare l’ammissione della ricerca del piacere nel sesso, cosa prima ritenuta inconfessabile. E lo fece attraverso il suo primo libro, “Il mio giardino segreto” del 1973, in cui riportava le confessioni di centinaia di donne americane sull’argomento ‘fantasie sessuali’, confessioni che la Friday proponeva loro di esternare per iscritto in forma anonima; ha avuto un successo enorme in tutto il mondo considerando che fu il primo libro divulgativo a parlare di sesso in modo obiettivo ed esplicito ma, soprattutto, era un documentario, non dava voce ad un ‘esperto in materia’ ma ai protagonisti stessi- in questo caso le donne – risultando quindi inconfutabilmente, scandalosamente realista e veritiero.
Ed effettivamente, ancor oggi che esiste una pornografia facile e gratuita, rimane un libro sorprendente ed estremamente intrigante.
Testo in PDF del libro originale in inglese: My Secret Garden  di Nancy Friday

Angelo Mercuri

Dostoevskij, Memorie di una casa morta (1861)

A mio parere uno dei più bei libri di Fёdor Dostoevskij (1821-1861), e’ il resoconto della prigionia di quattro anni (1850-1854) che l’autore subì sotto forma di lavori forzati in Siberia.
Era stato precedentemente arrestato (22 dicembre 1849) e condannato a morte dallo Zar per aver fatto parte di un gruppo socialista, pena poi sospesa quando aveva già i fucili puntati contro: l’ordine di tramutare la pena di morte in lavori forzati era già stato diramato dallo Zar prima che i detenuti venissero schierati per l’esecuzione, ma un sadico comandante aveva ugualmente inscenato una finta fucilazione.
Dopo tale drammatica esperienza, le crisi epilettiche di Dostoevskij si intensificarono; seguirono, subito dopo, i lavori forzati: entrambe queste esperienze lo cambiarono profondamente. Si può supporre che per capire Dostoevskij e la sua celebre propensione a scandagliare l’anima umana sofferente, sia fondamentale conoscere tali dati biografici.
Le presenti “Memorie di una casa morta” sono un documentario splendido sui campi di prigionia zaristi ma non si pensi ad una cronaca stile “Arcipelago Gulag” di Solženicyn: in Dostoevskij l’attenzione non è rivolta alla descrizione di luoghi e modi, non vi è nemmeno critica o giudizio riguardo alle brutali condizioni dei detenuti: tutta l’attenzione dell’autore si aggira sul piano più elevato dello studio di caratteri, personalità, reazioni psicologiche e comportamenti dei detenuti, al loro tipico gergo, mentalità, scala di valori, forza bruta o raffinatezza psicologica. Il tutto osservato e descritto sul filo della fascinosa attrazione per la forza, la spontaneità, il vigore, la tempra, la capacità di sopportare e accettare la sorte, doti e doni di un popolo russo che Dostoevskij tanto amava.
A. Mercuri

Frugalità

Bel libriccino di Paolo Legrenzi, ex professore universitario di psicologia a Venezia che ci svela i torbidi segreti psicologici delle aziende che tentano di irretirci nel consumismo con pubblicità studiate ad arte dagli psicologi pubblicitari.

La frugalità,  intesa  come valorizzazione, affezione, cura dei pochi oggetti amati e utili di cui si possiede, senza ambire al superfluo, al consumismo inutile e vuoto di senso, che soddisfa solo la brama istintiva ma superficiale di novità, dell’essere umano. Una virtù a cui ambire, il gusto per la sobrietà, il rifiuto dello spreco, come risultato di un essere umano nuovo e moderno che con la consapevolezza e la cultura riesce a rispettare la natura senza estorcerle più di quanto essa possa offrire, pena ammalarsi e morire.

Molto bella la considerazione di come il denaro abbia rovinato il mondo, portando le persone, oggi più che mai, ad identificare il “valore” con il “prezzo” errore clamoroso e deleterio.

A. Mercuri

Il declino dell’uomo

Cari utenti, un altro libricino del premio Nobel Konrad Lorenz, “Il declino dell’uomo” scritto successivamente a “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà”, e ancor più completo e attuale. Ogni riga è densa di significati e verità che, a mio parere, tutti gli esseri umani dovrebbero ponderare e far propri.

Mi spiace che il testo sia disordinato ma così l’ho trovato e mi ci vorrà del tempo per riordinare le righe; il contenuto comunque è assolutamente autentico e completo.

A. Mercuri

Leggi il testo:   Il declino dell’uomo

 

Gli otto peccati capitali della nostra Civiltà

Cari utenti,

qui di seguito trovate il testo del libro di Konrad Lorenz “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà”, edizioni Adelphi 1973 (Tradotto dall’originale tedesco).

E’ un libro che io amo molto perchè denso di concetti che condivido, espressi da un genio come Konrad Lorenz.

Purtroppo nel web l’ho trovato tutto sottolineato malamente e non sono capace di cancellare quelle sottolineature. Non fateci caso e leggete senza considerarle, ponete l’accento sui passaggi che interessano a VOI. Buona lettura!

A. Mercuri

Gli otto peccati capitali della nostra civiltà

Case editrici oggi

Fino a qualche decennio addietro la Casa Editrice era una garanzia per l’utente che acquistava un libro: se cioè una nota casa editrice si pubblicava un certo libro, significava che quel libro era di valore. Oggi purtroppo non è più così. Continua a leggere

Robert Walser

Robert Walser (1878 –1956) scrittore e poeta, nacque a Bienne in Svizzera da una famiglia povera e numerosa (8 fratelli) che non fu in grado di mantenerlo agli studi. La madre, definita emotivamente fragile, morì giovane; come la madre, anche lo scrittore e almeno due suoi fratelli ebbero gravi problemi mentali.

Lavorò presto come impiegato senza alcuna passione, poi tentò, senza successo, di diventare attore. Fino ai 27 anni visse prevalentemente a Zurigo, anche se cambiò continuamente abitazione trasferendosi per brevi periodi in altre città. A 27 anni Walser si iscrisse ad un corso per diventare servitore, dopo il quale viene assunto come cameriere nel castello di Dambrau (Alta Slesia).

Lo scrittore celebrerà in tutti i suoi testi successivi l’ideale del servire e i protagonisti dei suoi libri saranno sempre servitori o vagabondi.  Successivamente, si trasferì a Berlino dove il fratello Karl Walser, famoso scenografo, lo presentò ad alcuni intellettuali, editori e teatranti. Occasionalmente, Walser lavorò in quel periodo come segretario per una società artistica.

Oltre ai romanzi, scrisse molte prose brevi, nelle quali delineò, in un linguaggio gioioso e soggettivo, la figura di un giovane vagabondo cittadino che ama camminare e guardare il mondo con stupore: la maggior parte del suo lavoro è composto di brevi storie – acquarelli letterari che sfuggono ad una categorizzazione precisa.

A 35 anni Walser, dopo aver tentato di entrare a far parte dei salotti berlinesi introdottovi dal fratello Karl, decide che la vita mondana non fa per lui e da Berlino torna a piedi in Svizzera, stabilendosi a Bienne, suo paese natale. Qui visse per un breve periodo con sua sorella Lisa nella casa di cura a Bellelay, dove lei lavorava come insegnante. Lì conobbe Frieda Mermet, una stiratrice con la quale entrò in rapporti di grande amicizia: Robert aveva sentimenti di profonda simpatia e di ammirazione per le sue qualità umane e materne. Tra loro si instaurò una fitta corrispondenza che dal 1913 si protrasse per quasi trent’anni.

Ancora a Bienne, dopo un altro breve periodo trascorso con il padre, lo scrittore decise di alloggiare  in una mansarda dell’albergo Zum Blauen Kreuz e vi rimase sette anni.

Walser, che era sempre stato un passeggiatore entusiasta, in quel periodo di quasi esclusivo isolamento, accentuò la propria attitudine facendo lunghe camminate, spesso anche notturne.

Nelle storie di questo periodo, i testi sono scritti dal punto di vista del passeggiatore che cammina tra quartieri sconosciuti alternati a scherzosi scritti su autori e artisti; ed è di questo periodo

“La Passeggiata” (leggine alcune pagine), uno dei più bei racconti brevi di Walser; un racconto solare, in cui è racchiusa tutta la gioia che si prova nel passeggiare in un ambiente noto come il proprio paese, bello e curato dal punto di vista ambientale e confortante perchè abitato da amici e conoscenti coi quali ci si incontra per via: esattamente l’opposto della globalizzazione, del turismo e dell’immigrazione di massa, tutte cose che, colla deleteria regia dell’interesse economico, hanno tolto ai residenti la gioia di vivere a casa propria obbligandoci tutti, nei giorni liberi, alla fuga dal nostro ambiente divenuto ormai di tutti e di nessuno: una fuga “altrove”, nonostante la stanchezza, le code in macchina e gli incidenti.

Durante la prima guerra mondiale, Walser ricevette cinque chiamate militari. In tre anni poi, dai 35 ai 38 anni perse due fratelli giovani, malati di mente, uno dei quali, professore di geografia a Berna, morì suicida. Walser in quel periodo rimase molto isolato anche a causa della guerra che aveva interrotto ogni comunicazione con la Germania. Anche se lavorava duramente, riusciva a stento a mantenersi come scrittore quindi a 41 anni si trasferì a Berna per lavorare all’ufficio dei registri pubblici. Cambiò spesso abitazione conducendo una vita molto solitaria.

Durante il periodo bernese, lo stile di Walser divenne più radicale. In una forma sempre più condensata, scrisse in microgrammi, così chiamati perché scriveva a matita in una grafia minuscola e difficile da decifrare. Con questo stile scrisse poemi, drammi e novelle. In questi testi, il suo stile giocoso e soggettivo mutò verso una maggiore astrazione: molti testi di quel periodo si svolgono su livelli multipli – possono essere letti come ingenui e scherzosi feuilleton o come complesse trame piene di allusioni.  Walser leggeva la letteratura d’autore così come quella minore e amava reinventare ad esempio la trama di una novella pulp in modo tale che l’originale fosse irriconoscibile. Era forse già questo un sentore di malattia mentale?

Intorno ai cinquant’anni Walser – che soffriva di crisi d’ansia e di allucinazioni – si presentò, sollecitato dalla sorella Lisa, nella clinica Waldau di Berna. Nelle cartelle mediche era scritto: Il paziente confessa di sentire voci.

Per questa ragione, si può dire che scelse volontariamente di essere ricoverato. Durante la permanenza nella casa di cura, le sue condizioni mentali tornarono alla normalità, e riprese a scrivere e a pubblicare. Sempre più utilizzò un mezzo di scrittura che chiamò il metodo della matita: scrisse poemi e prose in stile sütterlin (una forma di gotico corsivo) molto piccolo, con caratteri alti circa un millimetro. Werner Morlag e Bernard Echte saranno i primi a tentare di decifrare questi scritti, pubblicando nel 1990, un’edizione in sei volumi di Aus dem Bleistiftgebiet.

Intorno ai 55 anni e contro la sua volontà Walser venne trasferito al sanatorio di Herisau nel suo cantone di origine, dove rimarrà per il resto della vita; cesserà ogni attività di scrittore.

Il curatore delle sue opere tentò di riaccendere in Walser l’interesse per la scrittura pubblicando alcuni dei suoi lavori. Nel frattempo morirono il fratello Karl e la sorella Lisa. Malgrado lo scrittore non avesse mostrato più alcun segno di malattia mentale da lungo tempo, si mostrò quasi sempre irascibile, rifiutandosi di lasciare il sanatorio.

Morì nel pomeriggio di Natale del 1956 a 78 anni, durante una solitaria passeggiata in un campo innevato. Il suo valore di letterato fu riconosciuto solo post-mortem. In Italia le sue opere furono pubblicate solo a partire dagli anni sessanta.

 

Il declino dell’uomo

Il declino dell’uomo è uno dei libri più belli scritti del grande medico-zoologo-etologo Konrad Lorenz, premio Nobel per la medicina nel 1973. Tutti associano il nome di questo geniale scienziato al suo libro di etologia “L’anello di re Salomone” e a quella famosa immagine delle oche che gli incorniciano il viso mentre nuota. Si, è stato un grande studioso del comportamento animale, ma il meglio di se l’ha dato in questo  libricino dove, applicando le sue profonde e solide conoscenze di biologia, riflette con rigore scientifico sul comportamento e sul destino umano. A mio parere, è un libro che andrebbe messo a fondamento dell’educazione di ogni giovane: rispetto per la vita, amore per la natura, tenerezza e compassione di fronte all’innocenza e alla fragilità di uomini e animali; dito puntato contro la bruttezza, la disarmonia, il tornaconto meschino, l’insensibilità, il deleterio eccesso di competizione.

A. Mercuri 

Consigli ai nervosi

Consigli ai nervosi e alle loro famiglie è un libricino dei primi anni del novecento scritto dal medico Svizzero Hans Zbinden, professore all’Università di Ginevra e direttore dello Stabilimento medico del Mont-Pèlerin a Vevey. E’ molto piacevole da leggere, carico di ottimismo e buon senso ma non banale, e valido a tutt’oggi. In quegli anni si andava diffondendo in Europa un grande interesse per la psicologia e la psichiatria ma non essendoci ancora psicofarmaci si puntava alla guarigione attraverso l’arricchimento della personalità e lo sviluppo di forza interiore: attraverso insomma la psicoterapia, una psicoterapia onesta, pratica e comprensibile a tutti non ancora rovinata dall’uso scorretto degli psicofarmaci e da certi astrusi deliri Freudiani, cose entrambe che tanto danno avrebbero poi arrecato agli psichiatri e ai pazienti delle generazioni successive. Leggine alcune pagine

A. Mercuri