Litio e depressione cronica recidivante

Il Litio, terzo elemento della tavola periodica, è una sostanza naturale molto semplice che in natura si trova sotto forma di sale aggregato in pietre e rocce (líthos=pietra); le piogge poi dilavano le rocce quindi il litio è presente nell’acqua potabile, viene assorbito dalle piante, assunto dagli animali e dall’uomo che in una dieta media assorbe circa 1 mg al giorno di litio elementare; una piccola dose ma indispensabile per la salute psicofisica: studi di geologia su amplissimi campioni di popolazione hanno evidenziato che ove nell’acqua potabile c’è una dose maggiore di litio, vi sono meno depressioni, demenze, suicidi, la vita è più lunga tant’è che qualcuno ha proposto di aggiungerne una micro dose nell’acqua potabile come già si fa col fluoro contro la carie dentaria o con lo jodio nel sale alimentare per la prevenzione dell’ipotiroidismo.
Comunemente le persone e anche molti medici, ancora associano il litio solo alla psicosi maniaco depressiva, la forma più grave del disturbo bipolare (disturbo nel quale si alternano o si sovrappongono sovraeccitamento e depressione) in cui la tossicità del farmaco è tristemente accettata data la gravità della patologia da curare; in realtà oggi il litio viene usato con successo anche a dosaggi bassi e non patogeni per patologie psichiatriche di minore gravità come la depressione cronica ricorrente (molto comune tra gli utilizzatori di antidepressvi), il temperamento ciclotimico (lieve bipolarità costituzionale), il temperamento ipertimico (lieve maniacalità costituzionale), prevenzione e stabilizzazione del decadimento cognitivo.
Il litio  ha cominciato la sua carriera alla fine degli anni ’40 del 1900, epoca in cui esistevano ancora i manicomi e venivano curate solo le malattie mentali gravi mentre quelle lievi non venivano nemmeno prese in considerazione: la prima somministrazione di Litio infatti venne fatta dallo psichiatra australiano John Cade su pazienti maniacali ricoverati in manicomio. Da allora (e fin quasi ai giorni nostri) il litio è stato dunque utilizzato solo nelle forme più gravi di disturbo bipolare, di depressione e di mania e sempre a dosaggio mediamente utile per tali gravi patologie (litiemia tra 0,6 e 1.0 mmol/L di sangue), dose pericolosamente vicina alla tossicità. Lo stereotipo ancora rimasto è: sì al litio per i gravi disturbi dell’umore ma, essendo molto tossico, va fatto un bilancio tra i vantaggi per la mente e i danni per il corpo.

Quali danni per il corpo? Se si supera la concentrazione nel sangue di 1,0 mmol/L la tossicità è immediata soprattutto a danno dei reni mentre se anche mantieni un dosaggio interno al range, comunque rischi di andare incontro negli anni ad un danno cumulativo a reni e tiroide.
Oggi non è più così, la convinzione che il litio funzioni solo all’interno del range standard e quindi vada riservato alle gravi patologie non è più un’assioma: a bassi dosaggi atossici il litio stabilizza le forme lievi di oscillazione dell’umore, rinforza la terapia antidepressiva, previene il suicidio e la demenza.

Per quanto riguarda la depressione va osservato che il litio non è solo un farmaco sintomatico ma è curativo: mentre cioè i comuni antidepressivi agiscono solo innalzando il livello di uno o due neurotrasmettitori il che provoca presto abitudine e perdita di efficacia, il litio agisce in senso antidepressivo su molti bersagli molecolari del neurone trasformando gradualmente ma profondamente la micro-anatomia del cervello e dando una condizione di benessere simile a quella naturale. La mancata assuefazione al suo effetto e la sua capcità di prevenire o arrestare la demenza fanno pensare ad una azione antidepressiva secondaria al miglioramento della salute globale del cervello. Continua a leggere

Concerto al “Teatro la Fenice”

Ieri sera ho seguito un concerto al teatro della mia città, il “Teatro la Fenice”. Qui sopra si sente una piccola parte del concerto che si è tenuto presso le cosiddette Sale Apollinee del teatro, dove si svolgono i concerti minori di musica sinfonica, con orchestre piccole. E’ stato piacevole, la musica classica mi piace. Mi ha fatto molta rabbia però che le musiche e gli autori sono stati presentati dalla clarinettista Elena Veronesi in lingua inglese (e quindi io ho capito molto poco). C’erano in effetti tra il pubblico quasi esclusivamente turisti stranieri e io non ho visto nessun viso noto. Nella mia città! Quando ero più giovane, fino a 30 anni fa, andare alla Fenice significava incontrare persone che conoscevi di persona o di vista ed era un’occasione per scambiare parole, occhiate e pettegolezzi. Bello il concerto ma triste il contesto, sono tornato a casa senza aver visto nemmeno un volto noto e senza aver scambiato nemmeno un saluto.