Astinenza da antidepressivi: fase 1 e fase 2

Gli antidepressivi sono, tra gli psicofarmaci, quelli che danno la più prolungata e spesso insopportabile condizione di astinenza caratterizzata da due fasi:
fase 1, esordisce dopo qualche giorno dalla brusca sospensione del farmaco, è caratterizzata da uno stato acuto di ansia, agitazione, insonnia con vividi sogni tumultuosi, inappetenza, nausea, vertigini, sintomi simil-influenzali e ipersensibilità sensoriale; è una condizione piuttosto gravosa ma è possibile mitigarla (anche se non annullarla) scalando piano il farmaco. Se si è effettuato uno scalaggio troppo rapido inoltre, è sufficiente risalire un po’ col dosaggio per risentirsi bene nel giro di 24 ore. Tale fase acuta, è denominata dagli inglesi Antidepressant Discontinuation Syndrome (ADS) ed è simile per tutti cioè non è un ritorno della propria malattia.
L’ondata successiva invece, la fase 2, compare da 1 a 6 mesi dopo la totale sospensione del farmaco, quando la fase 1 si è già risolta e uno pensa di esserne fuori; è caratterizzata dal ritorno, in forma più violenta, della sintomatologia che l’antidepressivo aveva corretto: depressione, disturbi d’ansia, attacchi di panico, ossessioni, quello che avevi torna in forma amplificata. Tale seconda fase è denominata Rebound Syndrome cioè sindrome da rimbalzo: un pallone compresso sott’acqua e mollato, non torna soltanto alla superficie ma schizza tanto in alto quanto in basso era stato costretto a scendere. Questo perché l’antidepressivo non guarisce la malattia (come fanno ad esempio gli antibiotici) ma ne “comprime” soltanto i sintomi: quando lo sospendi, la malattia rimbalza.
La fase1 inoltre è più violenta con gli I-Mao e con i Triciclici mentre è assai mite con Fluoxetina e Agomelatina (probabilmente per la loro lunga emivita). Tra gli antidepressivi moderni poi, è violenta con la Paroxetina (per il suo effetto anticolinergico) e con la Venlafaxina (per la sua breve emivita).
E’ intuitivo che Continua a leggere

La fobia sociale non è una malattia!

La fobia o ansia sociale, ben conosciuta da tutti come timidezza patologica, è una condizione di estremo disagio di fronte a situazioni comuni che prevedono l’osservazione e il giudizio da parte di estranei; tutti siamo più o meno timidi, ma si parla di patologia se tale timidezza ci condiziona pesantemente la vita, in ambito sociale, lavorativo, sentimentale: tutti gli studenti, ad esempio, hanno paura di affrontare gli esami, ma solo pochi continuano a rimandarli per tal motivo.
Caratteristiche della fobia sociale sono:

  • la consapevolezza di avere tale problema e la sofferenza legata al disturbo; alcuni rari individui (di solito schizoidi anaffettivi) sono a disagio nelle relazioni sociali e le evitano ma non ne soffrono perché stanno meglio da soli. Per questi quindi, non si parla di fobia sociale;
  • l’ansia anticipatoria, ancor più debilitante del disturbo: la prospettiva di dover affrontare una futura situazione sociale temuta, rovina le giornate di molti fobici sociali;
  • l’evitamento: la sofferenza legata all’esposizione sociale temuta fa si che il soggetto eviti, con gran sofferenza, occasioni sociali gradite e utili. Tale evitamento tende a cronicizzare il disturbo riducendo l’autostima e alimentando sentimenti di inferiorità e inadeguatezza;
  • l’ardente desiderio di liberarsi dal disturbo con un vissuto di infiniti tentativi falliti.

Questo disturbo insorge solitamente nell’infanzia o nell’adolescenza, raramente dopo i 30 anni e si accompagna ad un senso di vergogna, di imbarazzo, di impaccio in alcune o in tutte le circostanze sociali; tali timori, spingono il fobico ad un serrato autocontrollo che comporta un’impennata della tensione nervosa innescando un circolo vizioso: la persona timida, Continua a leggere

In questi ultimi anni, la modalità con cui i pazienti cercano aiuto dallo psicoterapeuta è cambiata: non più molte sedute a cadenza settimanale ma una, due, tre sedute al massimo, cercando di prendere il più possibile e poi basta. Farne tesoro e cercare di auto-correggersi. Poi magari si fanno risentire telefonicamente per qualche breve consiglio oppure rispuntano dopo mesi per un nuovo, unico appuntamento.
Questo probabilmente è dovuto a due motivi: il primo e principale è la crisi economica che fa avere meno soldi in tasca alla gente; il secondo, è la tendenza al fai da te delle persone, alimentata da quell’immenso serbatoio di informazioni che è internet. Quindi leggono molto sul web riguardo al proprio problema e arrivano da noi psicoterapeuti già abbastanza preparati, tanto da poter trarre il massimo dalla seduta.
Io credevo che questa modalità di gestire una psicoterapia non fosse efficace, non fosse cioè possibile inquadrare, capire e aiutare una persona vedendola solo due-tre volte; e invece mi rendo conto che lo è. Probabilmente per due motivi:
a) L’impressione iniziale raramente viene smentita nelle sedute successive;
b) E’ nelle prime due-tre sedute che, da entrambe le parti, si libera il massimo dell’energia: la curiosità, per entrambi, di avere di fronte una persona nuova, rende il rapporto estremamente proficuo e vivo.
Insomma, la mia impressione è che il cambiamento, se deve avvenire, avviene nelle primissime sedute o mai più.
Tuttavia, la mole di informazioni e consigli che posso dare al paziente è ovviamente limitata se viene una sola volta (cosa che capita regolarmente quando il paziente viene da lontano); per questo, proprio per adeguarmi a tale nuova realtà, ho scritto le due dispense sottostanti: “Quarant’anni di riflessioni”, impalcatura concettuale della mia psicoterapia, in cui espongo le più comuni cause e rimedi per l’infelicità odierna e “Tranquillanti, come liberarsene” che è rivolto alle moltissime persone che ingenuamente sono cadute nella trappola delle Benzodiazepine, e che assai spesso mi chiedono aiuto.
Un caro saluto,

A. Mercuri

I miei articoli più letti

Cari lettori,

noto che i miei articoli più letti sono quelli sugli psicofarmaci, probabilmente perché moltissime persone li assumono e molte altre ne sono attratte essendo essi la via più veloce per ottenere un sollievo immediato. Come già ho detto molte volte, cominciate una cura con psicofarmaci solo se davvero i vostri problemi sono insopportabili, non prendeteli mai, nemmeno le “goccine per dormire”, pensando che possano apportare piccoli e innocui miglioramenti alla vostra vita. Il malessere psichico che tanto spesso oggi affligge le persone e si traduce in ansia, insonnia e depressione, è un incontro tra caratteristiche biologiche individuali e fattori ambientali; le caratteristiche biologiche determinano una “predisposizione a”, che tuttavia mai porterebbe a malattia se le caratteristiche ambientali ( mancanza di natura, lavoro d’ufficio, traffico automobilistico, chiasso continuo) non fossero quelle deleterie d’oggi.

Siate gelosi delle vostre caratteristiche biologiche innate, sono come i lineamenti del vostro viso: comunque siano, sono sempre una risorsa preziosa e unica che ha solo bisogno di essere utilizzata nel giusto modo. Se siete biologicamente portati per fare gli artigiani, i contadini, i musicisti o gli astrofisici, non arrendetevi, non andate a lavorare in un negozio di telefonia mobile cercando di adattarvici a suon di psicofarmaci ma lottate piuttosto per il vostro obiettivo, non rovinate voi stessi ma abbiate una giusta rabbia contro chi vuole standardizzarvi.  Non tentate di modificare la vostra costituzione con la chimica degli psicofarmaci: è una battaglia persa, con un esito tragico. Agite invece su ciò che di esterno a voi si può modificare perché ingiusto, brutto, e umiliante.

A. Mercuri

Negli ultimi 30 anni, un uso irresponsabile di antidepressivi

Purtroppo, negli ultimi trent’anni, le prescrizioni di antidepressivi si sono moltiplicate a dismisura perché sono state immesse sul mercato un gran numero di molecole nuove (i cosiddetti antidepressivi selettivi per la serotonina, SSRI, il cui capostipite è stato la Fluoxetina, Prozac) pubblicizzate come prive di effetti collaterali, semplicissime da dosare (una sola pillola al dì), utili per una vastissima rosa di disturbi e facilissime da sospendere; la pillola della felicità, insomma. Ma chi è lo stupido che la rifiuta?
Le Case produttrici non si sono fatte scrupoli a creare, diffondere ed alimentare tale favola, sguinzagliando i propri cosiddetti “Informatori scientifici del farmaco” ovunque ci fosse odore di ambulatorio, riempiendo i mass media di notizie false ed entusiasmanti su tali pillole, trovando autorevoli e famosi ricercatori che apponessero un autorevole sigillo di autenticità sulle loro pericolose frottole.
In questi trent’anni quindi, qualsiasi medico di fronte ad un po’ di ansia, di tristezza, di insonnia, di irritabilità, di pedanteria, di dolore inspiegabile, di paura improvvisa, di timidezza, ecc. anche se poco esperto e molto scrupoloso ha cominciato a sentirsi tranquillo e protetto nel prescrivere lui stesso l’innocuo antidepressivo SSRI; tale medico, fino a qualche mese prima, nella prospettiva di dover dosare un Triciclico si sarebbe invece tappato orecchie ed occhi spedendo subito il paziente dallo psichiatra. Addirittura, molte persone hanno cominciato ad assumere la pillola della felicità senza consultare alcun medico….Perchè no? Fa solo bene…!
Come non bastassero gli interessi commerciali delle Case farmaceutiche, nel 1993 ci si mise anche il professor G. B. Cassano col suo imprudente e dannosissimo libro “E liberaci dal male oscuro” in cui fa sentire antiquati, pavidi, fessi e a rischio di suicidio tutti coloro che non aggrediscono la propria tristezza con la famosa pillola. Tale libro, letto da decine di migliaia di persone, ha probabilmente seminato in 25 anni di esistenza, molta più infelicità e disperazione di tutta la depressione umana da che l’uomo è sulla terra. Quante persone, dopo essersi fatte convincere dall’autorevole Cassano, si sono rovinate entrando senza motivo nel tunnel degli antidepressivi e non ne sono più uscite! Nel frattempo, la clinica pisana di Cassano, si affollava di disperati in attesa di ricovero……
Dicevo: in trent’anni, un uso ingiustificato, massiccio, inappropriato di antidepressivi SSRI; la realtà intanto e qualche psichiatra-ricercatore onesto come i fratelli vicentini  prof. Giovanni e Maurizio Fava o l’australiano Ken Gillman, Continua a leggere

Probabilmente qualcuno di voi si domanderà cosa posso fare io di concreto per i miei lettori, al di là degli articoli che pubblico.

Sono medico psicoterapeuta, di formazione cognitivo comportamentale ma cerco di trarre il meglio da ogni tipo di psicoterapia; studio la psicofarmacologia per poter utilizzare gli psicofarmaci in modo razionale e scientifico, non secondo la moda del momento o secondo i consigli dei rappresentanti delle case produttrici, che ovviamente sono pilotati e distorti. Cerco di insegnare a chi mi segue, che gli psicofarmaci devono essere considerati come l’ultima spiaggia, dopo che tutti gli altri tentativi sono falliti e spesso aiuto le persone a sospenderli, cosa difficile che va fatta in modo ordinato e scientifico, conoscendo modalità e tempi per sospenderli. Talvolta, quando lo ritengo l’unica opzione possibile, io stesso prescrivo psicofarmaci e questo avviene quando il paziente è ormai troppo acuto per giovarsi delle parole oppure in astinenza per precedenti cure psicofarmacologiche sospese in modo errato: in ogni caso comunque, la terapia psicofarmacologica deve essere assunta per il più breve tempo possibile, cercando di tenerne bassi i dosaggi. Ritengo che la vera terapia del disagio psichico sia la psicoterapia, una psicoterapia che insegni al paziente a capirsi e conoscersi, trovando un equilibrio che gli consenta di vivere bene secondo le proprie caratteristiche psicologiche e inclinazioni di carattere: ogni essere umano infatti possiede delle abilità straordinarie in qualcosa e i fallimenti spesso son dovuti al tentativo di fare cose per le quali non si è portati. Ritengo pertanto che gli psicofarmaci, pur indispensabili in certi casi, devano servire solo come aiuto temporaneo per smussare i momenti di acuzie del disagio psichico: mai come terapia unica e cronica bensì come salvataggio temporaneo in attesa che la psicoterapia faccia effetto.

A. Mercuri