La cultura dello psicoterapeuta

Lo psicoterapeuta efficace non può avere solo una cultura tecnica relativa alla propria materia, la psicologia, ma una cultura globale. Per cominciare, deve conoscere la medicina e la farmacologia perché molte malattie del corpo, oppure farmaci e droghe, possono essere responsabili dei disturbi che il paziente lamenta: non sarebbe una bella figura se tenessimo in cura sei mesi una persona che lamenta astenia e depressione attribuendone la causa a traumi psicologici infantili ma scoprendo poi che soffre di ipotiroidismo, di insufficienza epatica, ha livelli molto bassi di vitamine del gruppo B oppure ha un disturbo neurologico incipiente.
Bisogna avere inoltre, gli strumenti scientifici per capire come e quanto le eventuali sostanze psicotrope assunte (anche le più comuni: alcol, nicotina, caffeina) interferiscono col funzionamento psichico, affettivo, comportamentale, sociale del paziente. Gli psicofarmaci, che con le droghe hanno molti punti in comune e troppo spesso oggi sono usati scorrettamente, possono diventare gli unici responsabili delle strane sofferenze per le quali le persone si rivolgono a noi: bisogna pertanto saperli togliere; talvolta però, divengono necessari e allora dobbiamo anche saperli prescrivere. Personalmente mi sento molto a disagio quando un paziente, con me, vuole fare solo la psicoterapia mentre per gli psicofarmaci lo segue lo psichiatra: con che animo mi accingo io, psicoterapeuta medico, a curare solo con le parole una depressione, sapendo che il mio paziente assume da diec’anni tre pastiglie di Tavor al giorno perché il suo psichiatra dice che così va bene? E se un altro arriva agitato, piangente e scopro che ha sospeso da poco l’antidepressivo, cosa faccio? Gli parlo dell’inconscio?
Va bene, curiamo in due, io e lo psichiatra: ma con che immediatezza, facilità e frequenza riesco a parlare col socio? Lo trovo per telefono? Ma in battaglia ci possono essere due generali di pari grado per prendere decisioni tempestive? Se avessimo nella testa due cervelli che si parlano poco tra loro potremmo vivere?
Altro problema, ancor più complesso, è la cultura umanistica dello psicoterapeuta perché oggi, i giovani, leggono prevalentemente testi tecnici, per laurearsi, rischiando così di diventare professionisti coi paraocchi: la cultura scientifica di cui parlavo sopra ce la si può anche fare nel giro di qualche anno, e chiunque può farsela, che gli piaccia o meno la materia; ma la lettura dei classici della letteratura ( F. Dostoevskji, A. Cechov, L. Tolstoj, H. Hesse, I.Bunin, S. Turghenev, A. Stifter, R. Walser, A. Camus e migliaia d’altri ), a mio parere indispensabile per fare lo psicoterapeuta – come e più della cultura scientifica e psicologica – non è un sapere che si acquisisce in qualche anno e per obbligo, ma un piacere che solitamente comincia come un dono fin dall’infanzia e dura tutta la vita. Uno psicoterapeuta uscito dall’università e dalla specialità anche col massimo dei voti che trascorra il suo tempo tra congressi e seminari tecnici rischia di diventare uno psicoterapeuta indottrinato e fanatico che segue le tecniche psicoterapiche di moda e, nei pazienti, vede solo la malattia. E’ cosa relativamente facile individuare nel paziente la malattia psichiatrica, difficile è individuare i suoi punti di forza, le sue risorse; e difficile è trasformare la malattia in una forza: questo, sembrerà strano, ma solo la cultura umanistica acquisita con piacere nei decenni può insegnartelo perché nei classici della letteratura trovi milioni di personaggi, di destini, di modi d’affrontare le difficoltà interne ed esterne della vita, sì che tu, psicoterapeuta umanista, potrai operare una sintesi creativa su ciò che hai letto, trovando per il paziente che hai di fronte, un’ipotesi di vita adatta alla sua natura. Io ho capito meglio l’anima dei giocatori d’azzardo, leggendo “Il giocatore” di Dostoevskij piuttosto che i testi universitari sull’argomento, oggi solitamente rigorosi e aridi, anonimi e privi di intuizione.
Dicevo, ‘Ipotesi di vita per il paziente che hai di fronte’: si, perché spesso le malattie mentali non guariscono, avendo a che fare con la genetica. Aiutare il paziente a compensarsi, è quindi il compito prevalente del terapeuta: se l’ostacolo- malattia non riesci a rimuoverlo, aggiralo; aggirandolo, ti accorgerai d’esserti arricchito di nuove forze e successi.
E saranno i personaggi dei suoi autori preferiti ad andare incontro al terapeuta, facendogli individuare in chi ora ha di fronte in studio, le preziose risorse che ancora si intravvedono appena tra le pieghe della malattia: non è nel mortifero e stagnante studio diretto della patologia psichiatrica che si trova la soluzione per i pazienti malati ma nello studio e nella pratica della vita sana.
Chi è depresso, fobico, ossessivo, probabilmente conserverà per sempre il suo atteggiamento depressivo, fobico e ossessivo; ma la sua capacità introspettiva, l’autocritica, il perfezionismo e la continua messa in discussione di se stesso, diverranno meccanismi preziosi che, se messi a frutto in una attività edificante, lo trasformeranno in una persona vincente.

A. Mercuri