Gioco d’azzardo: è malattia?

Cari lettori, riporto qui sotto la lettera che “Il Gazzettino” mi ha pubblicato in data 18 ottobre 2018. Puo sembrare un pò dura nei confronti di chi gioca d’azzardo ma in me non c’è alcun intento colpevolizzante del giocatore bensì un richiamo alla realtà per chi cerca di speculare sulle malattie o pseudo malattie trasformando fenomeni comuni e sempre esistiti in allarmanti, nuove epidemie emergenti. La scintilla per l’articolo è nata quando ho letto che sta nascendo un centro dove si cureranno i giocatori d’azzardo con la neuropsicologia e le neuroscienze: a mio pare, la complessità della pulsione al gioco d’azzardo non è riconducibile ad una determinata configurazione neurobiologica costante, passibile di essere studiata e curata con le neuroscienze ma è un problema più profondo, di personalità, con molti addentellati anche nel sociale, un problema umanistico più che scientifico.  

E riguardo alla psichiatria americana che spezzetta le malattie psichiatriche per crearne di nuove e fasulle, al servizio di un’industria farmaceutica pronta poi a vendere nuove molecole per “curarle”, vi invito a leggere il mio precedente articolo “Psichiatria americana”  (cliccare)

Sono delirante io oppure è vero quel che dico? 

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Gentile Direttore,

vedo che si continua a parlare di gioco d’azzardo e se ne parla sempre più, arrivando a considerarlo una patologia a sè stante e  progettando addirittura di ridurlo ad un problema di neuroscienze.

Non mi sembra il caso di scopiazzare la psichiatria riduzionistica d’oltreoceano che tenta di medicalizzare ogni devianza comportamentale (salvo poi mettere sulla sedia elettrica malati mentali veri) e crea sempre nuove patologie (vedi la dipendenza da gioco d’azzardo e tantissime altre pseudo-malattie) allo scopo di immettere sul mercato nuovi psicofarmaci.

Al gioco d’azzardo, nell’onesta e profonda scuola di psichiatria italiana, è riservato solo il piccolo posticino che merita, all’interno della categoria delle personalità sociopatiche.

Io mi domando: come si può non vedere che il gioco d’azzardo non è una patologia a sé e nemmeno una pericolosa trappola tesa lungo la strada di chiunque?

Per essere giocatori d’azzardo cosiddetti “patologici” ci vuole infatti una particolare personalità, solitamente composta di superficialità negli affetti, egoismo, scarsità di motivazioni edificanti e di interessi culturali; insomma, si intuisce che trascinare nel baratro sé e la propria famiglia solo per l’infimo gusto della sorpresa e del rischio auto-procurato è, per usare un eufemismo, una condotta quantomeno meschina. E non si pensi che il giocatore d’azzardo sia un malato al pari del tossicodipendente: gli addetti ai lavori sanno bene che il giocatore tipo non chiede aiuto, anzi, cerca di non essere disturbato da terapeuti vari: è bugiardo, copre, mente, finge di curarsi solo per mettere la sordina ai rimproveri.

E’ questo il comportamento di un povero malato sofferente?

E’ vero che i giocatori d’azzardo sono aumentati, complici anche i giochini elettronici, ma questo aumento è da inserire nel contesto di una società occidentale malata che cerca anche amicizia e amore dentro lo schermo di un computer.

Può essere considerato tutto questo un problema puntiforme del quale cercare le cause in un certo angolino del cervello?

Troveremo mai per questi comportamenti un gruppetto di neuroni malati e una molecola per risanarli?

Cordiali Saluti,

Angelo Mercuri