Anteprima

                                                             Introduzione

Per tranquillanti intendo i farmaci che si usano comunemente per dormire, per stemperare la tensione nervosa e lenire l’ansia. Sono chiamati anche ansiolitici o, tecnicamente, benzodiazepine (BDZ), dal nome chimico della loro molecola.

Le prime benzodiazepine furono commercializzate intorno al 1960 e si piazzarono subito tra le molecole più vendute al mondo perché rivoluzionarie nella loro efficacia, sicurezza e maneggevolezza: agivano sull’ansia senza dare sedazione o sonnolenza marcate, non sembravano tossiche neanche ad alte dosi, interferivano poco con altri farmaci o malattie e davano una sensazione di oblioso benessere.

Questo, a distanza di cinquant’anni, è rimasto sostanzialmente vero.

Alcune cose però, pur visibili fin dall’inizio, sono state sottaciute e trascurate, con tacita intesa tra chi le produceva, le vendeva, le prescriveva e le assumeva:

1) il loro eclatante potenziale d’abuso e dipendenza dovuto alla piacevolezza dell’effetto e alla gravosità dei sintomi astinenziali.

In Italia (e in tutti gli altri Paesi ricchi) si stima che il 10% della popolazione adulta ne sia assuntore più o meno continuativo e che ben il 5% sia caduto nella trappola del consumo cronico; anche tra gli adolescenti, il 10% le assume a scopo unicamente ricreativo, saltuario all’inizio (magari rubandole ai genitori) ma probabilmente cronico poi.

2) i non trascurabili effetti collaterali a lungo termine.

Se è vero che le BDZ sono estremamente efficaci e scarsamente tossiche per poche settimane di utilizzo, è altrettanto innegabile che a lungo andare provochino danni nella sfera cognitivo-affettiva: memoria, attenzione, concentrazione,  agilità mentale, tono dell’umore, vitalità, motivazione, iniziativa, interessi e determinazione, tutte qualità di un cervello giovane e sano, vengono degradate. Sembra inoltre che il cervello impieghi molto tempo per riparare completamente tali danni dopo la totale sospensione delle BDZ.

3) il dilagare dell’epidemia di dipendenza da BDZ.

Nonostante il grave problema mondiale della dipendenza da BDZ, troppo poco è stato fatto per arginarlo:

pochissimi studi onesti ed approfonditi sui reali effetti delle benzodiazepine a lungo termine.

poca educazione di medici e popolazione generale sugli effetti a lungo termine e sulle tecniche di disintossicazione.

pochi centri dedicati esclusivamente alla disintossicazione da BDZ perchè la personalità, lo stile di vita e l’ambiente del mono-dipendente da benzodiazepine sono assai diversi da quelli del tossicodipendente da eroina, cocaina ecc. quindi non si può, come invece ancora oggi si fa, accoglierli tutti insieme usando gli stessi metodi di disassuefazione.

Questo piccolo manuale, che raccoglie le principali domande dei miei pazienti sulle BDZ  e su come interromperne l’uso, si propone di:

a) dare ai lettori le conoscenze di base sufficienti a capire il meccanismo d’azione, il rischio di dipendenza e la tossicità delle BDZ

b) prevenire l’abuso di BDZ evitando che adulti sani e, peggio ancora, adolescenti, caschino con leggerezza nella trappola di un farmaco ancora troppo facile da ottenere ed assumere. Va smantellata la convinzione che questi farmaci siano sostanze innocue, sicure e curative. Le BDZ possono essere estremamente utili se usate come sintomatici per poche settimane in chi ne ha realmente bisogno ma estremamente dannose se ne si abusa; e per abuso intendo:

– usarle senza averne bisogno

– usarle in dosi superiore a quelle prescritte

– usarle per un periodo di tempo superiore a quello terapeutico

Molta gente comincia a prenderle per lenire frustrazione, rabbia, ansia, solitudine, senso di noia o per riuscire a sopportare uno stile di vita sbagliato. Il momentaneo sollievo è quasi garantito e sembra più facile ingoiare una pillola che cambiare vita, ma il rischio è di cadere nell’assuefazione, nella tolleranza e nella dipendenza così poi, oltre ai problemi che già c’erano se ne aggiunge uno nuovo.

Altro mio intento è:

c) fornire alla persona comune che desidera liberarsi dalla schiavitù delle BDZ le conoscenze e gli strumenti per farlo da sola, senza ricorrere a metodi drastici e di incerto successo come ricoveri o terapie psicofarmacologiche sostitutive.

d) incoraggiare, supportare e dare fiducia a chi desidera smetterne l’uso: la dipendenza da BDZ non è una grave tossicodipendenza, ne si può uscire facilmente anche da soli e a testa alta: basta usare il metodo giusto.

In Inghilterra è stata fatta una efficace campagna pubblicitaria e di sensibilizzazione della popolazione generale e dei medici nei confronti di abuso e danni da BDZ tanto che il consumo in questi ultimi anni è crollato; la brutta sorpresa è che l’abuso si è solo spostato su psicofarmaci ancor più tossici come neurolettici e antidepressivi. Dall’esempio dell’Inghilterra dobbiamo imparare che il contrastare l’utilizzo di una droga ha senso solo se inserito nell’intelligente contrasto ideologico di tutte le dipendenze e, parallelamente, nell’istituzione e promozione a livello governativo di uno stile di vita più sano e naturale.

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                                                                           Indice

 

Quale è il metodo migliore per liberarsi dai tranquillanti?

Se voglio provare da solo come devo fare?

Qual’ è il ritmo giusto con cui diminuire?

Bdz e interazioni farmacologiche

Bdz e febbre

BDZ, sistema immunitario e allergie

Bdz, gravidanza e allattamento

Ma il sonno da bdz è normale?

Scalaggio e psicofarmaci sostitutivi

Scalaggio bdz e ricovero in clinica

Scalaggio e flumazenil

E’ vero che le bdz possono provocare la demenza?

Per quanto tempo si possono prendere?

Ho provato a smettere molte volte ma ho sempre ricominciato

Le bdz provocano danni permanenti al cervello?

Che differenza c’è tra le varie benzodiazepine? E’ vero che ognuna ha il suo effetto?

Si può guidare prendendo BDZ ?

BDZ e memoria 

BDZ e sesso

BDZ e depressione

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                                              TRANQUILLANTI

                                                          come liberarsene

                                                             domande e risposte

Cosa sono le benzodiazepine?

Le benzodiazepine sono psicofarmaci noti anche come tranquillanti o ansiolitici e commercializzati in tutto il mondo a partire dagli anni sessanta; hanno cinque funzioni: rilassano i muscoli, contrastano le crisi epilettiche, tolgono l’ansia, facilitano il sonno e, mentre si è sotto il loro effetto, riducono la capacità di memorizzare.

Le proprietà miorilassanti e antiepilettiche vengono sfruttate in ambito neurologico,

quella amnesica in chirurgia per evitare che il paziente abbia spiacevoli ricordi legati all’intervento, quella sedativo-ipnotica e ansiolitica vengono ampiamente utilizzate  sia in ambito psichiatrico che per lenire disagi comuni e diffusi come ansia e insonnia.

Le BDZ agiscono molto rapidamente dopo l’assunzione, sono molto efficaci, poco tossiche in acuto anche a dosaggi alti e si possono associare a quasi tutti i farmaci e malattie senza problemi.

Agiscono principalmente potenziando l’effetto naturale di un neurotrasmettitore presente nel cervello chiamato GABA, il quale svolge regolarmente le cinque funzioni inibitorie sopra elencate ma agiscono anche sul sistema endocrino le cui centraline (ipotalamo e ipofisi) sono inglobate nell’encefalo e con esso hanno frequenti scambi bidirezionali. Sono stati inoltre trovati recettori per le benzodiazepine nella corteccia surrenale, nei testicoli, nelle ovaie, nell’intestino, in alcune cellule del sangue, nell’ipofisi e nelle cellule gliali.

BDZ simili a quelle commercializzate sono normalmente presenti nel nostro organismo e in alcuni cibi che mangiamo.

Ma allora, se sono sostanze naturali, come possono fare male?

Le dosi presenti normalmente nel nostro organismo o introdotte col cibo sono enormemente più basse di quelle farmacologiche e svolgono probabilmente un utile compito mentre un loro aumento endogeno è associato soltanto a gravi malattie come la cirrosi epatica e lo stupor idiopatico ricorrente, patologie in cui provocano una sintomatologia tossica simile all’effetto delle bdz farmaceutiche.

Che differenza c’è tra le varie benzodiazepine? E’ vero che ognuna ha il suo effetto?

Tutte esercitano i cinque effetti sopra elencati (miorilassante, antiepilettico, ansiolitico, ipnotico, amnesico) ma, essendo le molecole leggermente diverse tra loro, alcune sono più sedative, altre più ansiolitiche, altre ancora più miorilassanti, ecc. ed è per questo che troviamo alcune bdz prevalentemente usate come sonniferi (triazolam, lormetazepam, flurazepam, flunitrazepam), altre come ansiolitici (bromazepam, lorazepam, alprazolam) altre ancora come miorilassanti e anticonvulsivi (diazepam, lorazepam) e infine, soprattutto una, come amnesico (midazolam).

Le benzodiazepine differiscono tra loro anche per la potenza:

0,1 mg di triazolam che è una delle più potenti, equivale ad 1 mg circa di bromazepam , a 10mg di oxazepam e clordiazepossido oppure a 15 di flurazepam.

Ancora, la durata d’azione di una BDZ varia molto da molecola a molecola e dipende principalmente dalla velocità con cui viene smaltita (la cosiddetta emivita: è  molto lunga per il diazepam e molto breve per il triazolam).

L’emivita (tempo di dimezzamento del farmaco nel sangue) è importante perché:

1) la lunga emivita di una BDZ è associata ad una lunga durata d’azione ma anche  ad un prolungato impegno epatico e ad un maggior accumulo di farmaco nell’organismo

2) le BDZ ad emivita breve, per contro, intossicano meno ma sono a maggior rischio d’abuso perché l’effetto dura poco e cessa bruscamente mettendo il soggetto di fronte a ripetuti episodi d’astinenza.

 Perché dovrei liberarmi dalle benzodiazepine?

Le benzodiazepine hanno un’efficacia straordinaria in chi le assume per la prima volta: gli effetti benefici superano di gran lunga quelli collaterali.

Tale “luna di miele” tuttavia non dura più di qualche settimana, poi gli effetti terapeutici scemano rapidamente (assuefazione) e, per ripristinarli, devi aumentare progressivamente la dose (tolleranza).

Se decidi di smettere (sempre gradualmente!) prima che il beneficio cominci a scemare,  non hai grosse difficoltà e, dopo qualche giorno di “scombussolamento” dovuto al riassestamento dell’organismo, ritorni come prima; se invece continui, vai incontro gradualmente, nei mesi e negli anni, ad una caratteristica “sindrome da uso cronico di BDZ” la cui gravità è proporzionale alle dosi assunte e alla durata di assunzione: l’ansia ritorna maggiorata per intensità e frequenza con tregue sempre più brevi, l’insonnia peggiora, l’umore si appiattisce, la memoria, l’iniziativa, la motivazione e gli interessi progressivamente si deteriorano ed il tuo comportamento diventa quello di un vecchietto ansioso, anche se hai vent’anni.

Quanto è diffuso l’uso di BDZ?

In Italia il 5% della popolazione generale, il 6% degli adulti e il 19% degli anziani (ultrasessantacinquenni) assume cronicamente BZD (per uso cronico si intende un uso quotidiano da almeno un anno) mentre il 10% le assume in modo più o meno continuativo.

Vi è inoltre in Europa una percentuale del 6% di adolescenti (10% in Italia) che ammette un uso ricreativo-voluttuario sporadico di psicofarmaci ansiolitici (prevalentemente BDZ): tale dato sui giovanissimi è emerso dal rapporto ESPAD 2016 che ha coinvolto 35 Paesi europei per un totale di 96.043 studenti tra i 15 e i 16 anni che nel 2015 hanno partecipato all’indagine rispondendo nelle proprie classi a un questionario anonimo.

Ancora, dai dati epidemiologici emerge che il consumo di BDZ aumenta con l’età, è più diffuso tra le donne e, in Italia, è massimo al Nord forse per mentalità, stile di vita, ambiente ed abitudini prescrittive dei medici.

La BDZ più utilizzata, sempre in Italia, è il lormetazepam, una molecola pericolosa per il rischio di abuso-dipendenza essendo rapida sia l’insorgenza che la fine del suo potente effetto ansiolitico-euforizzante; la formulazione in gocce, inoltre, dotata di buon sapore e di una non trascurabile percentuale alcolica, contribuisce ad irretire nella spirale dell’abuso.

Dopo il lormetazepam, le BDZ più vendute in Italia sono il lorazepam e l’alprazolam che staccano di molto tutte le altre.

Che caratteristiche ha l’assuntore cronico di BDZ?

Chi se ne intende si accorge di avere di fronte un assuntore cronico di benzodiazepine perché costui presenta un quadro caratteristico: dice spesso “non mi ricordo” riguardo ad avvenimenti recenti, ha sbalzi d’umore, irritabilità inspiegabile, disattenzione e vuoti di memoria che lo portano a comportamenti tipici e bizzarri: raccontare sempre le stesse cose credendo sia la prima volta, rifare o ridire una cosa dopo pochi istanti non ricordando di averla appena fatta o detta e/o, ancor peggio, fare o dire il  contrario per amnesia o cambio repentino d’idea.

E’ tipica anche la volubilità affettiva, nel senso che lo sfortunato si arrabbia con intensa partecipazione emotiva ma dopo pochi secondi, non avendo una “scia affettiva” dell’episodio, lo scorda e fischietta spensierato. Senza contare la lentezza nei calcoli e una generica poca vivacità cognitiva.

Altra caratteristica è la difficoltà di prendere decisioni pratiche e di formarsi opinioni personali stabili.

La mia impressione di fronte agli assuntori cronici di benzodiazepine è che abbiano, oltre al deficit mnesico e alla labilità emotiva, una lieve menomazione della rete prefrontale.

 Cos’è la rete prefrontale e a cosa serve?

La rete prefrontale è costituita dai circuiti neuronali di alcune regioni cerebrali come le cortecce prefrontali (avvolgono la parte anteriore dei lobi frontali), i nuclei della base e l’amigdala: tale rete è preposta alla regolazione delle funzioni mentali più elevate in cui le cortecce prefrontali svolgono un ruolo primario, da cui il nome.

Essa presiede a diverse funzioni:

– sintesi tra affettività e razionalità

– iniziativa, motivazione, capacità di scegliere, decidere, progettare, raggiungere un obiettivo mantenendo fermi nel tempo i propositi e la motivazione.

flessibilità e agilità mentali per capire ed adattarsi a situazioni nuove o eccezionali.

-capacità di sintesi e di attribuzione della priorità agli eventi senza perdersi nei dettagli

– capacità di prendere decisioni intuitive giuste nel dominio personale e sociale.

– capacità di interpretare correttamente gli atteggiamenti e i sentimenti propri e    altrui.

La rete prefrontale è paragonabile al timone di una barca, al motore di ricerca in internet o al direttore di un’orchestra: svolge la funzione di dirigere, trovare e coordinare tra loro le funzioni cognitive più elevate come attenzione, memoria,  concentrazione, affettività.

La rete prefrontale è sommamente sviluppata negli esseri umani ed è un’acquisizione filogenetica recente spesso imperfetta e fragile: autismo, schizofrenia, disturbi ossessivi, disturbi da deficit dell’attenzione, immoralità costituzionale sono eclatanti manifestazioni patologiche di deficit mentre la sua fragilità si manifesta nella vulnerabilità ai traumi cranici, alle sostanze tossiche ( tra cui BDZ, l’alcol e droghe) o, temporaneamente, alla semplice stanchezza. La rete prefrontale è collegata al resto dell’encefalo in modo talmente fitto che un insulto chimico o fisico in qualsiasi punto del tessuto cerebrale, anche ad essa distante, ne perturba la funzione.

Ma le BDZ hanno effetti collaterali solo per un’assunzione cronica?

No. Anche durante l’assunzione breve ci sono sonnolenza, sbalzi d’umore, vuoti di memoria, rallentamento psicofisico, rischio di cadute negli anziani, di incidenti stradali o sul lavoro, ed una generica perdita di vivacità, di vitalità, di grinta, di sana aggressività, di determinazione e di motivazione; però, per brevi periodi, il beneficio dell’effetto terapeutico ancora presente può dare ugualmente un senso all’assunzione.

Ma allora quando sono utili le benzodiazepine?

Le benzodiazepine sono utili solo nel breve periodo perché il loro effetto dura poche settimane soltanto. Ad esempio:

-interruzione di uno stato di “male epilettico” (crisi epilettiche che si ripetono una dietro l’altra) oppure in altri disturbi neurologici acuti del movimento o del tono muscolare.

– trattamento di breve durata dello stato d’ansia acuto o dell’agitazione psicomotoria

– ricovero ospedaliero breve in cui si manifesti una marcata sofferenza emotiva.

– superamento del periodo di latenza degli antidepressivi

– in ambito anestesiologico

– nella terapia antalgica

– come sedativo-miorilassanti per piccoli interventi chirurgici o manovre strumentali invasive (colonscopia, gastroscopia, ecc.)

Il linea generale: le benzodiazepine perdono la loro efficacia dopo poche settimane di uso continuativo.

Nell’ambito dei problemi emotivi della persona comune cioè non affetta da specifiche malattie psichiche o neurologiche sarebbe meglio evitare le BDZ perché l’ansia è un campanello d’allarme importante che segnala la presenza di un pericolo imminente non ben definito; fa stare male, di un malessere vago che ci spinge ad identificarne la fonte, a rintracciare il pericolo dicendoci: “Senti che stai male? Devi fare qualcosa a breve reclutando tutte le energie”. Tale pericolo vago e imminente può essere un figlio che da segnali di disagio, il rischio di perdere il lavoro, la prospettiva di avere l’indomani una giornata noiosa e pesante oppure uno stile di vita sbagliato con troppo stress, poco sonno, troppo caffè, ecc. ; qualcosa insomma che minacci l’incolumità fisica o psichica nostra o dei nostri cari.

In tale contesto si capisce che spegnere chimicamente l’ansia sia come mettere a tacere un allarme antincendio senza cercare i motivi per cui è scattato.

Anche nell’ambito d’una sofferenza acuta come un lutto ove è d’abitudine assumere benzodiazepine per lenirlo è da tener presente che, superata la fase acuta, vivere il proprio dolore in modo cosciente e consapevole favorisce la sua elaborazione, a difesa dell’equilibrio emotivo futuro, cosa che non avviene se tale processo è ostacolato dalle BDZ.

Quindi, in linea di principio, la persona comune che non abbia patologie psichiatriche gravi dovrebbe stare lontana dalle benzodiazepine (e, piu in generale, da tutti gli psicofarmaci).

Tuttavia, siccome a questo mondo il mai è da bandire, ci sono alcuni casi in cui sono concesse e forse possono essere di giovamento:

stemperare uno stato d’ansia paralizzante prima o durante un esame.

interrompere un’insonnia ostinata con una notte di sonno riposante

lenire la sofferenza emotiva quando non si è nelle condizioni di reagire (come durante un breve ricovero ospedaliero).

Per quanto riguarda un uso più prolungato (ma sempre nell’ambito di poche settimane) il senso dell’assunzione per la persona sana di mente può essere quello di lenire un periodo di ansia tanto acuta da essere di ostacolo alla soluzione del problema che la causa.

Nel frattempo però, devi darti da fare per risolvere il problema, per uscire dalla condizione ansiogena.

Le benzodiazepine non sono curative, mettono soltanto la sordina alla sofferenza psichica che si chiama ansia, sono come la tachipirina per la febbre.

E’ vero che le BDZ provocano la demenza?

Ci sono forti sospetti che sia così per un uso cronico negli anziani ma la certezza non c’è ancora. Dal dato statistico alla dimostrazione il passo può essere lungo come lo è stato per la relazione tra benzopirene delle sigarette e cancro del polmone. Personalmente penso che il buon senso, per il momento, debba guidarci considerando che:

– anche se il danno non è irreversibile, le bdz comunque provocano, in proporzione alla dose e alla durata di assunzione, un progressivo decadimento cognitivo sia nel giovane che, più marcato, nell’anziano.

-E’ dimostrato che dopo prolungata assunzione (anni), alla sospensione anche totale, tale danno regredisce assai lentamente e forse non completamente.

– è statisticamente dimostrato che la demenza colpisce dippiù le persone con pochi stimoli cognitivi: le bdz mettono a riposo la cognitività quindi è intuitivo pensare che favoriscano la demenza.

Le BDZ provocano danni permanenti al sistema nervoso?

Danni grossolani sembra di no. Tuttavia, …………………