Robert Walser

Robert Walser (1878 –1956) scrittore e poeta, nacque a Bienne in Svizzera da una famiglia povera e numerosa (8 fratelli) che non fu in grado di mantenerlo agli studi. La madre, definita emotivamente fragile, morì giovane; come la madre, anche lo scrittore e almeno due suoi fratelli ebbero gravi problemi mentali.

Lavorò presto come impiegato senza alcuna passione, poi tentò, senza successo, di diventare attore. Fino ai 27 anni visse prevalentemente a Zurigo, anche se cambiò continuamente abitazione trasferendosi per brevi periodi in altre città. A 27 anni Walser si iscrisse ad un corso per diventare servitore, dopo il quale viene assunto come cameriere nel castello di Dambrau (Alta Slesia).

Lo scrittore celebrerà in tutti i suoi testi successivi l’ideale del servire e i protagonisti dei suoi libri saranno sempre servitori o vagabondi.  Successivamente, si trasferì a Berlino dove il fratello Karl Walser, famoso scenografo, lo presentò ad alcuni intellettuali, editori e teatranti. Occasionalmente, Walser lavorò in quel periodo come segretario per una società artistica.

Oltre ai romanzi, scrisse molte prose brevi, nelle quali delineò, in un linguaggio gioioso e soggettivo, la figura di un giovane vagabondo cittadino che ama camminare e guardare il mondo con stupore: la maggior parte del suo lavoro è composto di brevi storie – acquarelli letterari che sfuggono ad una categorizzazione precisa.

A 35 anni Walser, dopo aver tentato di entrare a far parte dei salotti berlinesi introdottovi dal fratello Karl, decide che la vita mondana non fa per lui e da Berlino torna a piedi in Svizzera, stabilendosi a Bienne, suo paese natale. Qui visse per un breve periodo con sua sorella Lisa nella casa di cura a Bellelay, dove lei lavorava come insegnante. Lì conobbe Frieda Mermet, una stiratrice con la quale entrò in rapporti di grande amicizia: Robert aveva sentimenti di profonda simpatia e di ammirazione per le sue qualità umane e materne. Tra loro si instaurò una fitta corrispondenza che dal 1913 si protrasse per quasi trent’anni.

Ancora a Bienne, dopo un altro breve periodo trascorso con il padre, lo scrittore decise di alloggiare  in una mansarda dell’albergo Zum Blauen Kreuz e vi rimase sette anni.

Walser, che era sempre stato un passeggiatore entusiasta, in quel periodo di quasi esclusivo isolamento, accentuò la propria attitudine facendo lunghe camminate, spesso anche notturne.

Nelle storie di questo periodo, i testi sono scritti dal punto di vista del passeggiatore che cammina tra quartieri sconosciuti alternati a scherzosi scritti su autori e artisti; ed è di questo periodo

“La Passeggiata” (leggine alcune pagine), uno dei più bei racconti brevi di Walser; un racconto solare, in cui è racchiusa tutta la gioia che si prova nel passeggiare in un ambiente noto come il proprio paese, bello e curato dal punto di vista ambientale e confortante perchè abitato da amici e conoscenti coi quali ci si incontra per via: esattamente l’opposto della globalizzazione, del turismo e dell’immigrazione di massa, tutte cose che, colla deleteria regia dell’interesse economico, hanno tolto ai residenti la gioia di vivere a casa propria obbligandoci tutti, nei giorni liberi, alla fuga dal nostro ambiente divenuto ormai di tutti e di nessuno: una fuga “altrove”, nonostante la stanchezza, le code in macchina e gli incidenti.

Durante la prima guerra mondiale, Walser ricevette cinque chiamate militari. In tre anni poi, dai 35 ai 38 anni perse due fratelli giovani, malati di mente, uno dei quali, professore di geografia a Berna, morì suicida. Walser in quel periodo rimase molto isolato anche a causa della guerra che aveva interrotto ogni comunicazione con la Germania. Anche se lavorava duramente, riusciva a stento a mantenersi come scrittore quindi a 41 anni si trasferì a Berna per lavorare all’ufficio dei registri pubblici. Cambiò spesso abitazione conducendo una vita molto solitaria.

Durante il periodo bernese, lo stile di Walser divenne più radicale. In una forma sempre più condensata, scrisse in microgrammi, così chiamati perché scriveva a matita in una grafia minuscola e difficile da decifrare. Con questo stile scrisse poemi, drammi e novelle. In questi testi, il suo stile giocoso e soggettivo mutò verso una maggiore astrazione: molti testi di quel periodo si svolgono su livelli multipli – possono essere letti come ingenui e scherzosi feuilleton o come complesse trame piene di allusioni.  Walser leggeva la letteratura d’autore così come quella minore e amava reinventare ad esempio la trama di una novella pulp in modo tale che l’originale fosse irriconoscibile. Era forse già questo un sentore di malattia mentale?

Intorno ai cinquant’anni Walser – che soffriva di crisi d’ansia e di allucinazioni – si presentò, sollecitato dalla sorella Lisa, nella clinica Waldau di Berna. Nelle cartelle mediche era scritto: Il paziente confessa di sentire voci.

Per questa ragione, si può dire che scelse volontariamente di essere ricoverato. Durante la permanenza nella casa di cura, le sue condizioni mentali tornarono alla normalità, e riprese a scrivere e a pubblicare. Sempre più utilizzò un mezzo di scrittura che chiamò il metodo della matita: scrisse poemi e prose in stile sütterlin (una forma di gotico corsivo) molto piccolo, con caratteri alti circa un millimetro. Werner Morlag e Bernard Echte saranno i primi a tentare di decifrare questi scritti, pubblicando nel 1990, un’edizione in sei volumi di Aus dem Bleistiftgebiet.

Intorno ai 55 anni e contro la sua volontà Walser venne trasferito al sanatorio di Herisau nel suo cantone di origine, dove rimarrà per il resto della vita; cesserà ogni attività di scrittore.

Il curatore delle sue opere tentò di riaccendere in Walser l’interesse per la scrittura pubblicando alcuni dei suoi lavori. Nel frattempo morirono il fratello Karl e la sorella Lisa. Malgrado lo scrittore non avesse mostrato più alcun segno di malattia mentale da lungo tempo, si mostrò quasi sempre irascibile, rifiutandosi di lasciare il sanatorio.

Morì nel pomeriggio di Natale del 1956 a 78 anni, durante una solitaria passeggiata in un campo innevato. Il suo valore di letterato fu riconosciuto solo post-mortem. In Italia le sue opere furono pubblicate solo a partire dagli anni sessanta.